Austria infelix nell’Europa consociata

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Austria infelix nell’Europa consociata

15 Maggio 2017

Austria infelix nell’Europa consociata. “Austria is one of Europe’s most affluent countries but tension within the ‘great coalition’ of the country’s two main parties – the Socialdemocrats and the People’s party-  have been exacerbated by Austria’s recent economic underperformance”  Ralph Atkins sul Financial Times dell’11 maggio spiega come in Austria, uno dei Paesi più ricchi del continente, si stiano creando tensioni nella coalizione tra popolari e socialdemocratici perché l’economia non brilla: nei giorni successivi all’11 si è parlato di voto in autunno. Sono passati pochi mesi da quando si era detto che Vienna aveva scampato il pericolo populista eppure sono sorti enormi problemi di governabilità, come peraltro in Olanda e in qualche modo in Spagna (vedi congresso socialista) altre due nazioni “scampate” dal populismo. La realtà è che il Berliner consensus che s’impone con una grande coalizione in Germania (quella che sta distruggendo la Spd) sostenuta dall’egemonismo sul Continente, con il consociativismo organico a Strasburgo ed esportato in mezza Europa, ha quasi distrutto la sinistra e lascia esposto  a ogni conflitto  più in generale tutti i vari sistemi politici che non sono riusciti a mantenere quella alternativa tra destra e sinistra che consente di affrontare le crisi coinvolgendo i popoli.

Alla fine la lotta, nella sinistra italiana, è tra fanfaniani e basisti. “Chiarezza da parte del sottosegretario Boschi” dice Beppe Sala al Corriere della Sera dell’11 maggio. Da quando ha una nuova fidanzata della stirpe di un famoso casato bresciano particolarmente influente nella finanza, anche il sindaco di Milano oltre ai vari ex direttori corrieristi bazoliani, oltre ai Lettini e ai Prodi macroniani, pare partecipare alla crociata interna alla sinistra contro Matteo Renzi. Fa impressione osservare un’area politica in cui un tempo pesavano comunisti (poi ex comunisti), e quel che resta a sinistra del socialismo italiano, ridotta a un campo di battaglia solo tra fanfaniani e basisti. I primi, come al solito, per l’unità di comando, i secondi per un potere più articolato.

Perché Brigitte si è vestita così per l’Eliseo? “Perché Brigitte è vestita come Melania?” si chiede Daniela Monti sul Corriere della Sera del 15 maggio. La risposta è semplice: la sartoria della Wehrmacht non era in grado di preparare in tempo per le cerimonie d’insediamento all’Eliseo un tailleurino, per la premiere dame francaise  come quelli che porta la leader politica (prescritti sorrisini e lato b) più autorevole d’Europa.

Fango sì, fango no, fango forse. “Chi semina fango non raccoglie immondizie” così recita una vignetta di Elle Kappa sulla Repubblica del 10 maggio. Laura Pellegrini è autrice di satira intelligente, morde con la necessaria ferocia ed è divertente (lo è anche la citata vignetta contro Virginia Raggi). Le si può dunque perdonare se cede alla nuova tendenza repubblicona che dopo avere sparso tanto sangue senza se e senza ma, adesso se la prende con chi lancia “troppo” fango. Persino Curzio Maltese ha iniziato a contestare quelli che urlano troppo. Ma il personaggio esemplare di questa ondata è Michele Serra che dalla prima pagina del quotidiano di Largo Fochetti ha iniziato a condannare chi preferisce l’insulto e induce all’odio. Salvo poi scrivere sulla Repubblica il 6 maggio di aspettare il risultato delle presidenziali francesi per vedere “Se prevarrà la democrazia” e il 10 maggio spiegare che la disputa sul cibo per gli asili nido tra Donald Trump e Michelle Obama determina: “una rilevantissma, sostanziale differenza tra chi pensa e chi non pensa”.