Austria, se i socialdemocratici si mettono a spacciare fake news
16 Ottobre 2017
Corretti e corrotti, politicamente parlando. “Austria’s centre-left chancellor is battling allegations that his party paid for a group of websites churning out xenophobic and antisemitic conspiracy theories in order to discredit his main challenger in the eyes of far-right supporters. The scandal, which has rocked Austrian politics two weeks before the country goes to the polls to elect a new government, centres on at least two Facebook sites dedicated to the centre-right foreign minister and candidate for chancellor, Sebastian Kurz”. Philip Oltermann sul Guardian del 7 ottobre spiega come l’ex cancelliere austriaco socialdemocratico stia battendosi per smentire che il suo partito abbia pagato pagine su pagine di Facebook per diffamare l’ex ministro degli Esteri popolare che ora corre a Vienna per diventare cancelliere con una piattaforma di centrodestra. Brutti tempi per i cultori della political correctness, prima il produttore di Hollywood sporcaccione che finanziava sia il clan Obama sia quello Clinton, ora il socialdemocratico viennese che produce più fake news di un medio agente russo. Post Scriptum. La rimozione dalla cosiddetta grande stampa dei pasticci dei socialdemocratici austriaci (così come di quelli tedeschi: si pensi solo a quanta poca attenzione è stata dedicata dai media “liberal” su scala globale alla nomina di Gerhard Schroeder a presidente della Rosneft) si sposa direttamente con l’assoluta damnatio per chi ha votato questa domenica non solo per la FPÖ ma anche per il popolare di “destra” Sebastian Kurz: esprime “il cuore di tenebra” di Vienna dice, una conradianamente ispirata dal cognome Kurz, Tonia Mastrobuoni sulla Repubblica del 14 ottobre, sempre sulla Repubblica ma del 15 Andrea Bonanni spiega come gli elettori dei popolari e dei liberalnazionalisti starebbero “inseguendo i fantasmi delle proprie immaginarie paure”. Chissà se fra le fantasie di quei ricchi pazzi d’oltre Brennero vi sono irrazionali timori su un peso troppo forte di una potenza tedesca che tanti vantaggi ha procurato al dolce Paese del Danubio blu dalla guerra dei Trenta anni nel 1618 all’Anschluss del 1938. I sedotti dal FPÖ e dall’ ÖVP, poi, non farebbero scelte consapevoli ma sarebbero “una febbre, un rigurgito” spiega Claudio Magris sul Corriere della Sera sempre del 15. Insomma questi buzzurri austriaci sarebbero più o meno degli Untermensch.
E’ più facile che Berlusconi interpreti Servillo, che viceversa. “Magari quella particolare smorfia non è proprio sua”. Filippo Ceccarelli sulla Repubblica dell’8 ottobre naturalmente loda Paolo Sorrentino per il film che si appresta a far uscire su Silvio Berlusconi. Ma a un giornalista pur fazioso però intelligente non sfugge come le smorfie di Toni Servillo non siano quelle del patron di Mediaset. Si sa Servillo, per quanto travestito, recita sempre e solo Servillo.
“Trump, stai al tuo posto” gli dice la Mogherini. “The United States domestic process, and I underline domestic, following today’s announcement of ther president Trump, is now in the hands of the United States Congress”. Federica Mogherini sul sito Politico del 15 ottobre, con un tono da maestrina, spiega come la non certificazione degli accordi sul nucleare da parte di Donald Trump sia una questione sostanzialmente “domestica” e fa intendere che il Congresso la metterà a posto. La nostra maestrina deve essersi ormai convinta che il Potus sia del tutto isolato come sostiene anche Antony J. Blinken, già vice segretario di Stato nell’amministrazione Obama, sul New York Times del 14 ottobre che scrive: “That would put the United States, not Iran, in violation of the agreement and isolate Washington, not Teheran” spiegando come la Casa Bianca nel contestare gli accordi con l’Iran, si metta dalla parte del torto e si isoli. Anche Giuseppe Sarcina sul Corriere della Sera, sempre del 14, insiste su questo tono notando che “Con Trump si schierano, almeno finora, solo Israele e l’Arabia Saudita”. Citerò dopo un articolo di Maurizio Molinari che spiega la complessità della posta in gioco nell’area regionale segnata dalle attività iraniane, per ora mi limito a far osservare che avere come alleati in Medio Oriente israeliani e sauditi non mi sembra proprio il massimo dell’isolamento. E, magari, se l’Fbi non ostacolasse un serio confronto con Mosca, probabilmente l’isolamento sarebbe ancora inferiore.
Forse c’è una questioncina iraniana, da prendere in considerazione. “L’incontro fra le milizie sciite iraniane e gli hezbollah libanesi sulla frontiera disegnata da Sykes-Picot nel 1916 consente all’Iran di avere il controllo su un’area che va da Teheran a Beirut, passando per Baghdad e Damasco”. Così Maurizio Molinari sulla Stampa del 15 ottobre descrive i processi in atto nell’antica area mesopotamica e spiega il senso fondamentale delle mosse trumpiane. Per quanta preoccupazione si possa avere per lo stile caotico del nuovo inquilino della Casa Bianca , il vero problema è la catastrofica eredità dell’amministrazione Obama, che ha al suo culmine realizzato i seguenti capolavori: la liquidazione dei generali (nonché del segretario della Difesa Bob Gates) intorno a David Petraeus (peraltro oggi il cuore della nuova amministrazione), le scemenze politically correct sulle primavere arabe, la rottura inconsulta con Mosca. Ed è in questo scenario che si agisce oggi. Persino quei mercanti con poca anima che oggi reggono i maggiori Stati europei (da Emmanuel Macron ad Angela Merkel, con al seguito, nell’occasione, la sperduta Theresa May) si rendono conto dei rischi che un’egemonia iraniana nell’area centrale del Medio Oriente implica, ma non sono capaci (prigionieri di una logica prevalentemente affaristica) di correggere le gaffe trumpiste sulla base di un’ispirazione strategica. E, per carità, lasciamo perdere le lezioncine della maestrina Mogherini.