Baget Bozzo si è spento. Lasciando un vuoto incolmabile

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Baget Bozzo si è spento. Lasciando un vuoto incolmabile

08 Maggio 2009

La morte di don Gianni Baget Bozzo – stroncato da un infarto durante il sonno, come il giusto che ha voluto chiudere gli occhi, alla fine di inenarrabili fatiche e dopo strabilianti percorsi, che Dio dona solo a poche creature, i suoi eletti – lascia un vuoto incolmabile.

Lo si dice spesso dopo la scomparsa di personalità più o meno autorevoli, è un modo di dire stereotipato, patinato, se vogliamo. Nel caso di Gianni è pura verità: nessuno, dico nessuno, né in Italia, né in Europa, ha avuto in dote quel senso mistico e quella percezione intellettuale capaci di attraversare il ‘900, concependolo come storia e soteriologia. Escatologia in atto. E ciò dai dai suoi primi passi. Gianni ha sempre detto ai suoi amici più cari che la sua distanza dalla Dc del dopoguerra, quell’armamentario ideologico e strutturale, era dovuta principalmente alla sua cifra mistica che, paradossalmente, lo rigettava sempre, quasi come un ostaggio, nella storicità. Dunque, nella politica. Ma questa era la visione della politica e della cultura come mediazione per narrare la storia veicolate da questo grande intellettuale, di rara cultura e finezza.

L’ho visto strapazzare storici senza cultura e da queste movenze si coglieva subito la superiore formazione, antica, sistematica, tomistica, rispetto alla quale io ero in certa misura distante, ma mai indifferente. Dossettiano di formazione e destinato ad una prestigiosa carriera nella Dc, lascia tutto per “cedimenti” mistici reali, da lui descritti in quel capolavoro del ‘900, Vocazione. Seguono anni difficili in cui la teologia come disciplina accademica e “fatica del concetto” prendono la mano al giovane e inquieto intellettuale. Il Card. Siri rimane al suo fianco e lo consacra sacerdote, senza neanche un giorno di seminario, a 42 anni. La rivista “Renovatio”, una luce nel la notte post-conciliare è quanto di meno reazionario vi possa essere nel panorama cattolico europeo. Una nuova narrazione della crisi della Chiesa, la quale troverà la sua pace solo approfondendo il legame con la Traditio, fonte di lettura spirituale della contemporaneità. Un attraversamento del Concilio senza il “conciliarismo”. Operazione geniale, che formò un teologo ortodosso ma irregolare nelle letture e nelle frequentazioni intellettuali.

La geniale ortodossia di un irregolare autentico. Non finto, come i soloni parateologici di oggi, che lui bollava giustamente come “eretici”. La mediazione culturale era quello strumento che rendeva il pensiero di Baget così prossimo ai rovesciamenti politici e così prossimo alla laicità.

Il suo rapporto con Bettino Craxi ha il sapore della fedeltà al di là dell’obbedienza, come scrisse in un libercolo stracolmo di lucide provocazioni intellettuali. Gianni non è stato uomo di obbedienza, perinde ac cadaver, ma di fedeltà alla Verità cristiana, al Magistero ed alla Chiesa. Il suo “ritorno” ad essa, dopo la sospensione a divinis, comminata dal suo antico mèntore, Card. Siri, nel 1994, rappresenta il vertice di un’intuizione che vedrà poi sviluppi significativi con Ruini: la fine dell’unità dei cattolici. Silvio

Berlusconi segnava questo evento, lo aveva in qualche modo creato, dunque era da quella parte che si doveva stare. In piena, irregolare, coerenza. La vera coerenza è sempre aggredita dal dramma del movimento interno ed incompreso dagli spiriti mediocri. Sempre. A lui è toccata questa sorte. Ma le “verità dimenticate” – alle quali attingeva e sulle quali ha scritto un formidabile saggio per una casa editrice cattolica, la Ancora, fatto inusitato per un prete così poco clericale -, escatologiche, plasticamente immerse nel dolore quotidiano e nell’ansia di riscatto degli uomini e delle donne del nostro tempo, quelle, sì, avrebbero ricondotto anche l’intelligenza alla sua fonte originaria. Egli era un neotomista, apodittico,ma non chiuso. Amava la laicità e la carne storica, anche quella peccatrice, come i geni del cattolicesimo, dall’Aquinate a Péguy.

Il suo confronto con l’Islam aveva fondamenta straordinarie di teologia immanente alla storia e mai fu un occidentalista stolido e piatto, come documenta quell’aureo libretto di Marietti, Di fronte all’Islam.

Negli ultimi tempi, stava cogliendo la devastante carica destrutturante dell’approccio ideologico alla vita, lui che, per natura laico e cristiano novecentesco, non manifestava inquietudini su questo versante. Invece, dopo il ‘900, a suo dire, il campo ideologico stava per essere sovrastato dalla vita nuda, in quanto tale, senza più difese. L’ultima sua grande intuizione. Geniale e rapsodica come i suoi scritti, poveri di citazioni e ricchi di pensiero.

E’ morto l’amico della mia prima maturità umana e intellettuale. Non ho altre parole. Che Dio ci ricongiunga su sentieri non più interrotti.