“Ballata dell’odio e dell’amore” è un film sul gusto della morte e dell’orrore

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“Ballata dell’odio e dell’amore” è un film sul gusto della morte e dell’orrore

12 Novembre 2012

A che punto è la notte oscura nella quale è sprofondato il cinema d’autore europeo? A un punto critico, forse irreversibile. Forse persino di non ritorno. Per rendersene conto, pienamente, basta vedere il film del talento visionario spagnolo Álex de la Iglesia, “Ballata dell’odio e dell’amore” (“Balada triste de trompeta”), presentato a Venezia nel 2010 e uscito solo oggi (nel frattempo il regista ha girato un altro lungometraggio, “La chispa de la vida”, lo scorso anno).

Si comincia con la guerra di Spagna. Anno 1937. Ma fortunatamente ci viene risparmiata (anche se non completamente) la solita retorica antifranchista. I buoni da una parte, i cattivi dall’altra. E i cattivi sono sempre franchisti. Ma la storia di Álex de la Iglesia prende un’altra direzione. Il mondo del circo. C’è un pagliaccio allegro (e cattivo) e un pagliaccio triste (e buono). Il primo è fidanzato con la bella acrobata del circo, bionda e con gli occhi azzurri. Il buono la guarda, l’ama teneramente, l’accompagna alle giostre, le compra lo zucchero filato, la bacia con tenerezza. Vorrebbe farla diventare la donna della sua vita. Ma se ci sono due uomini (la regola vale anche per i pagliacci) e una sola donna, in un racconto cinematografico che si rispetti, uno deve mollare la preda o soccombere.

Gli eventi ci accompagnano per tutto il percorso storico del franchismo. Vediamo addirittura il Caudillo, ormai a un passo dalla morte. E vediamo anche saltare in aria Carrero Blanco, l’”orco” ammazzato in un attentato dall’ETA. Ma la politica non c’entra. A dominare il film sono i sentimenti. E violenza, crudeltà, sangue, efferatezze. Tutto ciò, in pieno stile postmoderno, accompagnato dall’ironia. Stile “splatter”. Volti devastati, sfregiati, mutilati, torturati. I due pagliacci alla fine del film non hanno più bisogno della maschera. Entrambi hanno il viso sfigurato. Erano due uomini normali. Ora sono due mostri. Due Bestie innamorate folli della Bella. E lottano fino allo spasimo per averla. Lottano con crudeltà, da animali feriti ma decisi a non arrendersi.

Álex de la Iglesia si era segnalato come uno dei registi più interessanti del cinema europeo, alla fine del secolo passato. Ci era riuscito con un film di culto: “El día de la bestia” (1995). Un’opera di fantascienza irridente, escatologica ed apocalittica, poco conosciuta in Italia. Ma di grande efficacia visiva. Di quel film, a quasi vent’anni di distanza, è rimasto solo lo stile grottesco, da “grand guignol” di eccellente qualità. Álex de la Iglesia non si è riuscito a liberare dello spirito decadente già presente in “El día de la bestia”. Anzi, lo spirito decadente sembra averlo attanagliato (e ossessionato) del tutto. Da autentico cinefilo il regista spagnolo vuole rifare “Il fantasma dell’opera”. Vuole rifarlo alla sua maniera, postmoderna, mescolando al circo la violenza, intersecando la Grande Storia con le piccole avventure umane, il Mito con l’anonimato.

L’umanità portata sulla scena in “Ballata dell’odio e dell’amore” è definitivamente perduta. Dal cinema spagnolo, dopo la morte di Franco, abbiamo avuto registi di valore, tutti però impegnati a distruggere la cultura umanista, per crearne una nuova, antiumanista. Cosa ha in comune, per esempio, l’ultimo film spettrale “La pelle che abito” (2011) di Pedro Almodóvar con la “Ballata dell’odio e dell’amore”? Hanno in comune il gusto per la morte e per l’orrore. Essendo entrambi convinti che Dio sia morto, si assegnano il compito non di rimpiazzarlo con un nuovo Dio, ma con un nuovo uomo. E partoriscono, non come Nietzsche aveva immaginato, un “superuomo”, ma un mostro, come Dracula, Frankenstein o Dorian Gray.