Basta col complesso del tiranno. La sovranità va restituita al popolo

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Basta col complesso del tiranno. La sovranità va restituita al popolo

20 Giugno 2007

Il rapporto tra i sistemi politici democratici e la sovranità popolare si va complicando. Le istituzioni politiche nazionali stanno subendo l’antagonismo sempre più incisivo di realtà istituzionali concorrenti, che sottraggono loro sovranità: sia verso l’alto per le pretese dell’Unione Europea, sia verso il basso per la devoluzione di competenze agli enti territoriali. Il luogo della decisione, inoltre, si sta spostando con crescente frequenza verso organismi di alta amministrazione, laddove regna un personale che con l’investitura popolare non ha niente a che fare: si pensi, in tal senso, al numero crescente delle autority e alle loro funzioni. E a tutto ciò si aggiunge che questa progressiva perdita di potere, corrisponde una simmetrica perdita di qualità della classe politica e di governo.

Come bisognerebbe reagire di fronte a questa situazione? La politica non è una scienza esatta, ma alcune regole selezionate dall’esperienza storica è bene che siano rispettate. In Italia, per questo, è indispensabile che gli organi di governo acquisiscano un rapporto più forte con la sovranità del popolo, per far sì che il loro potere decisionale sia legittimato. Ciò potrà avvenire in diversi modi. Anche se è veramente difficile comprendere perché le nostre principali istituzioni debbano subire ancora le conseguenze di quel “complesso del tiranno” che nell’Italia post-fascista ha a lungo giustificato la segmentazione e la depersonalizzazione del potere. Un sistema politico che ambisca a essere moderno non può più sfuggire al rito di un’elezione popolare diretta, fosse essa del premier o del Presidente della Repubblica.

In questo stesso senso andrebbe ripensato anche il ruolo dei partiti. Essi un tempo erano il centro della vita democratica e da ciò derivavano le loro pretese verso lo Stato. I progressi della tecnica e le grandi trasformazioni sociali hanno provveduto a limitarne peso e funzioni. Vi sono, però, dei compiti ai quali i partiti è bene che non sfuggano: innanzi tutto quello di formare e selezionare la classe dirigente che, sennò, sarà sempre più frutto di scelte improvvisate. Per questo, sarebbe necessario accrescere insieme la loro responsabilità e la loro rappresentatività, chiedendo in cambio più trasparenza e maggiore capacità di coinvolgimento.

Non è certo una soluzione ricercare surrogati all’effettiva espressione della sovranità popolare né indebolire partiti già sin troppo deboli. Ma purtroppo è esattamente ciò che sta accadendo. Per quanto concerne le istituzioni, sembra che il problema della loro riforma sia stato diluito dalle troppe parole spese in proposito negli ultimi decenni. Oggi, invece di effettive soluzioni, si parla solo di crisi della politica: nella realtà dei fatti, un modo per socializzare le perdite (arte ben nota alla razza padrona di scalfariana memoria). A essere entrato in crisi, infatti, è soprattutto il moralismo della sinistra. E questa, una volta smarrita la sua pretesa superiorità, con l’aiuto della grande stampa che l’ha fin qui sostenuta e la complicità di novelli untori, sta cercando di accreditare la sindrome della peste.

In questo tentativo a farne le spese, inevitabilmente, sono coloro i quali operano o hanno operato dalla parte del governo e nel Parlamento. Tra intercettazioni e paparazzi, la loro esposizione è aumentata fino al punto che neppure la sfera più intima è più al riparo. Come se non bastasse, mentre al tempo della sua nascita la scienza politica si pose il problema di coinvolgere nella vita pubblica il cosiddetto better element sottraendolo al suo esclusivo interesse egoistico, oggi ci si affanna a stabilire vincoli e divieti per incoraggiarlo a farsi i fatti suoi.

Infine, invece di preoccuparsi di accrescere il legame tra il governo e la sovranità popolare si usa quest’ultima per delegittimare i partiti nelle loro funzioni più importanti. Vorremmo chiedere ai soloni del nascente Partito Democratico: a meno di non prevedere per legge le primarie, che senso ha far scegliere il leader di un grande partito direttamente dal popolo? E per quale ragione mai, giunti a questo punto, ci si dovrebbe iscrivere a un partito e praticare l’umile via della militanza?

Alla sinistra l’incoronamento di Prodi attraverso sedicenti elezioni primarie (a proposito, aspettiamo ancora di sapere che fine hanno fatto gli elenchi dei votanti) non ha insegnato niente. Non ha ancora compreso che il carisma è qualcosa di spontaneo, che si può istituzionalizzare ma non certo suscitare per via democratica. Non resta che attendere ancora un po’. Tra breve si scoprirà che “la casta” si è svuotata di persone degne di considerazione e stima per riempirsi di improvvisatori, nani e ballerine.  Ma anche allora, ne siamo certi, non mancherà tra i giornalisti del Corriere della Sera colui il quale sul nuovo fenomeno scriverà un nuovo best-seller.