Basta con l’anti-merkelismo: la Germania è un modello per tutta l’Ue
17 Maggio 2012
Rigore di bilancio e crescita stabile non sono strategie alternative, bensì complementari. Questa è la grande lezione della politica economica tedesca del dopoguerra a oggi. La Germania ha saputo mantenere conti pubblici in ordine, bassa inflazione, una moneta forte e allo stesso tempo ha registrato una crescita costante, un ruolo di punta nel commercio internazionale con esportazioni crescenti, un tenore di vita tra i più alti del mondo e ha portato a termine l’unificazione politica, sociale ed economica delle regioni nettamente più povere dell’ex-Germania comunista.
A fronte di questo ‘palmares’ non c’è dubbio che i tedeschi abbiano qualche elemento di credibilità nel proporsi come i gestori della crisi e le loro richieste andrebbero valutate con cura prima di essere respinte come ottuse.
Il problema quindi non é di convincere i tedeschi ad adottare politiche favorevoli alla crescita. Il problema è di condividere con i tedeschi quali siano le politiche più efficaci per stimolare la crescita.
E’ chiaro che per risolvere la crisi occorre ripristinare una crescita stabile e duratura, ma è del tutto evidente, sia per l’esperienza storica tedesca, sia per il condizionamento determinato dalla gigantesca mole del debito pubblico che incombe in Europa, che rilassare le politiche di bilancio in chiave pro-crescita sarebbe inefficace e controproducente. Abbandonare ora la strada del rigore comporterebbe come minimo un aumento dello ‘spread’ e quindi della spesa per interessi, vanificando gli sforzi di risanamento realizzati. Del resto le valutazioni sulle politiche di rigore finanziario le fanno i mercati, non Angela Merkel, non le tre agenzie di rating, bensì i milioni di risparmiatori di tutto il mondo, italiani compresi, che in ogni istante si interrogano se valga la pena comprare o vendere i titoli emessi dal Tesoro italiano, greco o tedesco.
Diverso sarebbe impostare misure a favore della crescita che abbiano un impatto neutro sui conti pubblici. Misure di carattere strutturale: liberalizzazione del mercato del lavoro e dei servizi, semplificazione amministrativa, ma soprattutto misure che riducano il ruolo e il peso dello Stato nella economia (riduzioni di spesa, dismissioni, privatizzazioni), consentendo di liberare risorse e di ridurre la pressione fiscale. Anche da questo punto di vista è significativo l’esempio tedesco.
Nel 2003 il cancelliere Schroeder – non certo un seguace della Signora Thatcher – alla guida di una coalizione rosso-verde avviò un ambizioso programma di riforme strutturali, incentrato su tagli alla spese sociale e liberalizzazioni del mercato del lavoro, la cosiddetta Agenda 2010. Il programma fu mantenuto anche dalla successiva coalizione di governo guidata dalla Merkel. In tre anni la spesa pubblica fu tagliata per un importo pari a 3,5 punti percentuali del Pil. Grazie alla cura dimagrante sulla spesa e le misure di liberalizzazione del mercato del lavoro, l’economia tedesca fu in grado di fronteggiare con maggior flessibilità e prontezza la crisi che esplose nel 2008; il Pil tedesco, dopo la caduta del 2009, è tornato a crescere negli anni successivi ben oltre il 3% all’anno. Ancora una volta: rigore e crescita, non rigore o crescita.