Benedetto negli Usa fa l’americano e s’intende con Bush

LOCCIDENTALE_800x1600
LOCCIDENTALE_800x1600
Dona oggi

Fai una donazione!

Gli articoli dell’Occidentale sono liberi perché vogliamo che li leggano tante persone. Ma scriverli, verificarli e pubblicarli ha un costo. Se hai a cuore un’informazione approfondita e accurata puoi darci una mano facendo una libera donazione da sostenitore online. Più saranno le donazioni verso l’Occidentale, più reportage e commenti potremo pubblicare.

Benedetto negli Usa fa l’americano e s’intende con Bush

Benedetto negli Usa fa l’americano e s’intende con Bush

26 Aprile 2008

Associando
fonti di poco pregio a toni falsamente autorevoli, e favorendo consueti ma pur
sempre sorprendenti luoghi comuni della sinistra, Michael
Sean Winters e gli altri editori della sezione “Outlook” del Washington Post
hanno vinto quest’anno la sfida per il popolare Premio Padre Richard McBrien
per la Totale Incompetenza in Vaticanologia (dal nome del teologo di Notre Dame
il quale dichiarò memorabilmente che Joseph Ratzinger non poteva assolutamente
venire proclamato pontefice, meno di 24 ore prima che ciò accadesse).

In
“Non più occhio per occhio: guardare il mondo con prospettive interamente
nuove”, un articolo apparso in prima pagina su Outlook il 30 marzo, Michael Winters
argomentava come Papa Benedetto XVI, nel corso della sua futura visita negli
Stati Uniti, avrebbe “mostrato come la sua concezione del mondo fosse in realtà
totalmente differente da quella del Presidente Bush, denunciando la prolungata
occupazione dell’Iraq di fronte all’Assemblea Nazionale delle Nazioni Unite – denuncia
che sarebbe risultata ancor più veemente in seguito al recente martirio di un
arcivescovo caldeo ucciso dai ribelli a Mosul”. In una sola frase, Winters è
riuscito a commettere molti dei peccati capitali della Vaticanologia: ha
confuso l’opinione di burocrati di basso rango con il pensiero dei
rappresentanti ufficiali della Santa Sede; ha dato per scontato che il Papa si
recasse presso un organismo internazionale come l’ONU con una propria proposta
politica, piuttosto che in quanto rappresentante morale della voce della
ragione; e, forse peggiore tra tutti, ha in qualche modo creduto che Benedetto
XVI sminuisse il sacrificio del seviziato Arcivescovo
Paulos Faraj Rahho, utilizzando la morte del prelato caldeo per promuovere fini
politici.

Nel corso delle mie recenti
conversazioni con alcuni rappresentanti autorevoli del Vaticano, ciò che più mi
ha colpito è come negli ultimi 18 mesi i dibattiti degli anni 2002-2003 siano
giunti al termine. C’è stato indubbiamente disaccordo tra il governo degli
Stati Uniti e la Santa Sede prima dell’invasione dell’Iraq, questo va da sé.
Oggi tuttavia si è voltata pagina; e nonostante le indiscrezioni che dal
Vaticano sono giunte fino a Winters, i personaggi che contano – quelli che
prendono le decisioni a Roma – mi hanno detto, così come hanno detto
all’Amministrazione Bush, che un ritiro precipitoso dall’Iraq oggi avrebbe
conseguenze disastrose per il paese così come per l’intero Medio Oriente.

Papa
Benedetto XVI molto probabilmente intende premere sul Presidente Bush affinché
il governo iracheno si muova più attivamente per difendere le minoranze
cristiane in Iraq; questo tuttavia si traduce in un maggiore impegno americano
nelle politiche di sviluppo del paese, non nella fine dell’”occupazione”. Per
quanto riguarda invece la “denuncia” papale in sede ONU, Winters e i suoi amici
cattolico-Democratici saranno sicuramente delusi: Benedetto XVI è troppo saggio
per entrare nel merito della competizione esprimendo il proprio giudizio di
merito su Barack Obama o Hillary Clinton (la vittoria dei quali,
indipendentemente dal nome del candidato, causerebbe enormi grattacapi alla
Santa Sede presso le Nazioni Unite e le altre strutture internazionali).

Oltre
a ciò, è opportuno ricordare che il Papa non intendeva recarsi all’ONU per un
tour virtuale dell’odierno panorama mondiale, lodando o condannando questo e
quello. Nel sessantenario della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, è
più probabile che volesse esprimersi sollecitando questo organismo
internazionale a considerare più seriamente le verità morali che sono alla base
del concetto di dignità umana, per la cui difesa l’ONU è stata istituita – verità
morali che possono essere conosciute attraverso la ragione.

Winter
sostiene inoltre che il dipartimento di “politica estera” del Vaticano abbia a
grandi linee opinioni comuni a quelle degli euroburocrati di Bruxelles. C’è un
fondo di verità in questa concezione; tuttavia Winters è totalmente incapace di
coglierlo. Senza dubbio le posizioni generali della Seconda Sessione del
Segretariato di Stato della Santa Sede (alla quale si fa solitamente
riferimento come “il ministero degli esteri del Vaticano”) sembrano riflettere
le posizioni generali dei cancellieri e dei ministri degli esteri dell’Europa
occidentale. Ma sarebbe un grave errore concludere da questo che tali opinioni
siano condivise da Benedetto XVI e dai suoi consulenti più fidati per le
politiche internazionali. Se i burocrati del Segretariato di Stato non avessero
qualcosa da dire, Benedetto XVI non avrebbe mai tenuto la sua lezione a
Regensburg su fede e ragione nel settembre 2006 – quella lezione che causò un
mare di proteste in parte del mondo islamico.

Ciò
nonostante, diciotto mesi dopo, è chiaro come il Papa abbia insistito
giustamente nella sfida lanciata in quell’occasione all’islam, affinché il
mondo mussulmano riflettesse sulla questione della libertà religiosa e
considerasse seriamente la separazione tra autorità spirituale e politica
all’interno dello Stato. La lezione di Regensburg ha voluto intervenire
profondamente nel dialogo tra cattolici e islamici, preferendo non soffermarsi
sulle banalità che troppo spesso caratterizzano il dialogo interreligioso; ha
dato nuova forma ai loro rapporti, richiamando l’attenzione generale su quei
temi che rendono l’aggressività dell’islamismo una minaccia per il pluralismo e
per la pace. Il nuovo Forum Cattolico-Mussulmano fondato l’anno scorso sulla
base della “Lettera dei 138” leader mussulmani (di per sé una risposta a
Regensburg) ne è un esempio; così come lo sono i negoziati con l’Arabia Saudita
per la costruzione di una chiesa cattolica nel paese, o la richiesta del re
saudita Abdullah per un nuovo, grande dialogo tra le religioni monoteiste.
Nulla di tutto questo sarebbe accaduto se Benedetto XVI avesse lasciato fare a
coloro tra i suoi diplomatici che “pensano come a Bruxelles”.

Un
papa che ragionasse in termini “burocratici” sulle politiche mondiali non
avrebbe neppure designato come proprio “ministro degli esteri” l’arcivescovo Dominique
Mamberti, uomo che unisce la propria considerevole esperienza dell’aggressività
dell’islam (è stato Nunzio Apostolico a Khartoum) ad un affetto sincero per gli
Stati Uniti, e una grande consapevolezza delle debolezze e della corruzione
delle Nazioni Unite oggi (presso le quali ha lavorato per tre anni). Oltre a
ciò, Benedetto XVI e l’Arcivescovo Mamberti sono entrambe consci di quella che
l’allora Cardinale Joseph Ratzinger definì la “dittatura del relativismo”,
mettendo in guardia la comunità internazionale – prima ancora di essere eletto
papa – da quella cultura imposta in Europa non solo da governi laicisti
radicali come il regime di Zapatero in Spagna; bensì anche dalla burocrazia
dell’Unione Europea, dal Parlamento Europeo, dalla Commissione Europea e dalla
Corte Europea dei Diritti dell’Uomo. Piuttosto che sostenere come il Papa e
Mamberti siano in linea con il “pensiero di Bruxelles” dei burocrati del
Vaticano, sarebbe più corretto pensare che il Pontefice e i suoi collaboratori
seguiteranno a mettere in discussione le loro posizioni; questo cammino
potrebbe persino innescare quel processo di cambiamento grazie al quale tali
convincimenti verranno definitivamente trasformati.

Gli sforzi di Winters che
mirano a presentare un Pontefice perennemente ai ferri corti con
l’Amministrazione statunitense presenta inoltre un’ulteriore mancanza: non
considera la gratitudine della Santa Sede verso l’impegno dell’Amministrazione
Bush a difesa della libertà religiosa; la sua indefessa lotta contro la
diffusione dell’AIDS in Africa (incluso l’implicito biasimo per l’approccio
preventivo all’AIDS della salvezza-attraverso-il-latex, caratteristico degli
enti di soccorso multilaterali); e la sua granitica posizione a tutela della
vita sia in ambito nazionale che internazionale. Come mi ha riferito
recentemente un alto funzionario del vaticano, coloro che realmente contano a
Roma sanno bene che in futuro difficilmente avranno un’Amministrazione
americana nel complesso così ben disposta verso i temi di fondamentale
importanza in ambito internazionale per la Santa Sede come lo è stata
l’Amministrazione Bush. C’è al momento un certo entusiasmo verso Obama, spiace
dirlo, che pervade alcune porzioni della curia romana; tuttavia la luna di miele
verrà rimandata molto velocemente, una volta che le posizioni del Senatore
dell’Illinois sulla vita e sul matrimonio appariranno più limpidamente nelle
acque del Tevere.

Gli americani realmente
interessati ad ascoltare le opinioni di Benedetto XVI sugli Stati Uniti ed il
loro ruolo nel mondo, e in merito ai temi più scottanti di politica
internazionale, dovranno fare riferimento con particolare attenzione al
discorso del Pontefice alla Casa Bianca nella cerimonia di benvenuto del 16
aprile e al discorso all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite del 18 aprile.
Piuttosto che impersonare Geremia contro il Grande Satana Bush, Benedetto XVI
ha in realtà dato al mondo una grande lezione di ragione morale – la
“grammatica” attraverso la quale il mondo può portare avanti il dialogo riguardante
il proprio futuro. La verità è parte del tessuto del mondo, ed è tutta intorno
a noi, ha detto il Papa all’America e alle Nazioni Unite; riflettere su queste
verità è uno dei modi attraverso i quali si trasforma il rumore in
comunicazione, e le incomprensioni in dialogo. Spero che Winters, le sue fonti
e gli editori di Outlook abbiano ascoltato.

Traduzione di Alia K. Nardini

George Weigel è Distinguished Senior Fellow presso l’Ethics and Public Policy Center. Biografo ufficiale di Giovanni Paolo II (Testimone della speranza. La vita di Giovanni Paolo II,
Mondadori), è l’autore di  Benedetto
XVI. La scelta di Dio
 
(Rubbettino). Il suo libro più recente è Faith,
Reason, and the War Against Jihadism
.