Benedetto XVI da Vienna indica la strada all’Europa

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Benedetto XVI da Vienna indica la strada all’Europa

10 Settembre 2007

Vienna dista poche decine di
chilometri da Regensburg. A pochi giorni di distanza dal primo anniversario del
celebre discorso del 12 settembre 2006, che tanto scalpore suscitò, Benedetto
XVI ha fatto di Vienna una Regensburg 2. Ne ha ribadito infatti tutti i
concetti principali. Mancava il riferimento all’Islam, che allora fece
infiammare mezzo mondo, ma del resto non mancava niente.

Alla Hofburg di Vienna, davanti
ai politici e al corpo diplomatico, il papa ha ribadito che l’Europa non può e
non riesce ad essere se stessa senza il cristianesimo. E’ un problema di
radici, ma non solo. E’ vero ed indubitabile che nelle radici dell’Europa c’è
stato il cristianesimo. Ma l’importanza di questa religione per il continente
europeo ha solo motivi storico-culturali? Se così fosse le nuove generazioni
potrebbero anche dimenticarsene. Il fatto è che si tratta anche e soprattutto
di una questione di verità. Senza il cristianesimo l’Europa non riesce più a
vedere secondo verità la realtà e la natura della persona umana, la giustizia e
il rispetto dei diritti umani. E’ per questo che il Papa ha citato il filosofo
tedesco Jürgen Habermas, con il quale ebbe, su questi temi, uno storico
dibattito pubblico a Monaco di Baviera nel gennaio del 2004. Nella frase citata
Habermas afferma che “L’universalismo ugualitario, dal quale sono scaturite le
idee di libertà e di convivenza solidale, è un’eredità immediata della
giustizia giudaica e dell’etica cristiana dell’amore. Immutata nella sostanza,
questa eredità è stata sempre di nuovo fatta propria in modo critico e
nuovamente interpretata. A ciò fino ad oggi non esiste alternativa”. Le
osservazioni di Habermas sono solo di ragione. E’ quindi la ragione stessa a
dire che al cristianesimo non c’è alternativa, ossia a ribadire che questa
religione non solo è utile ma è anche indispensabile. Perché indispensabile?
Perché senza di essa la ragione stessa – ecco il punto decisivo – si offusca e
rischia di perdere di vista la realtà e la verità. Non solo, quindi, per meriti
storici, ma per il suo intrinseco rapporto con la verità il cristianesimo è
indispensabile e solo un’Europa che avesse perso il gusto per la verità
potrebbe dimenticarsi del cristianesimo. Ma sarebbe ancora Europa?

Queste affermazioni viennesi del
papa ci riportano al 12 settembre di un anno fa, ci riportano a Regensburg. Là
il papa aveva ribadito la pretesa cristiana di essere la religione vera. E come
prova aveva affermato che il cristianesimo è pronto a farsi esaminare dalla
ragione, diversamente da altre religioni. Dalla ragione che, per esempio,
condanna la violenza e, quindi, anche una religione che predichi la violenza in
nome di Dio. Gli Illuministi volevano elevare il tribunale della ragione sulla
religione. Benedetto XVI ha accettato la sfida ma a patto che anche la ragione
accetti lo stesso confronto da parte del cristianesimo. E’ la stessa cosa detta
a Monaco nel dibattito pubblico con Habermas: il terrorismo fondamentalista
mostra che ci sono patologie della religione che la ragione può correggere;
l’ingegneria genetica che vuole produrre l’uomo in laboratorio mostra che ci
sono patologie della ragione che la religione può correggere. In altri termini,
il cristianesimo ha la pretesa di essere la religione vera e, in questo modo,
non può sottrarsi all’esame della ragione. Contemporaneamente, però, pone il
problema della verità della ragione. Da quale ragione il cristianesimo si fa
esaminare? Da quella positivista e razionalista che confluisce necessariamente
nel relativismo e nel nichilismo? Certamente no. Da quella aperta al
trascendente? Sì. E come fa la ragione a mantenersi aperta al trascendente
senza la fede che la faccia respirare e la spinga a non fermarsi mai?

Si vede allora che ragione e fede
religiosa stanno in piedi o cadono insieme. Di questo ha bisogno l’Europa: di una ragione che respiri e che non si “autolimiti” e di una religione
che aiuti la ragione ad essere se stessa ed accetti di venirne esaminata. A
Vienna il papa ha anche indicato il primo campo di prova di questa
collaborazione: il diritto alla vita. Se ragione e fede non si capiscono su
quel terreno non si possono capire su nessun altro. Per questo stesso motivo,
l’Europa che si allontani dal rispetto del diritto alla vita, considerandolo
una scelta irrazionale, soggettiva o privata, perde il contatto sia con la
ragione sia con la fede.