Benedetto XVI, la Turchia e la diplomazia

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Benedetto XVI, la Turchia e la diplomazia

12 Dicembre 2006

di Vera Capperucci e Daniele Federici

È un programma denso quello pensato per il recente viaggio di
Benedetto XVI in Turchia. I dubbi della vigilia, sulla scia delle
tensioni innescate dal discorso di Ratisbona di settembre, sembravano
aver già definito il clima in cui la visita si sarebbe svolta. Eppure,
nonostante le difficoltà, a distanza di 27 anni dalla visita apostolica
di Giovanni Paolo II, e di 39 da quella di Paolo VI, l’annunciata
ostilità che sembrava dover accogliere l’arrivo del pontefice,
accompagnata dalle proteste dei fondamentalisti, ha lasciato spazio ad
un incontro dai toni ecumenici e pastorali in cui la contestazione si è
rivelata un fenomeno decisamente marginale. Così, nella terra
dell’apostolo Paolo, dove fiorirono i testi dei padri della Chiesa e
dove Giovanni XXIII fu per 10 anni Delegato Apostolico, il papa è
tornato non soltanto per continuare il dialogo con il popolo turco, ma
soprattutto per incontrare quella che lui stesso ha definito la
«piccola Comunità cattolica, che mi è sempre presente nel cuore».
Questa finalità spiega, almeno in parte, la successione delle visite e
degli appuntamenti.

 

Il viaggio, iniziato martedì 28 ha
avuto come prima tappa Ankara, la capitale turca: dopo il saluto delle
autorità locali, a differenza di quanto previsto dal programma
iniziale, Benedetto XVI ha incontrato anche il primo ministro turco
Recep Tayyip Erdogan in partenza per il vertice Nato a Riga.
Venticinque minuti di colloquio personale sui temi del confronto fra
culture diverse e dell’Europa. Il pontefice si è poi recato in visita
al mausoleo dedicato al “padre” della Turchia laica Mustafa Kemal
Ataruk. Nel pomeriggio l’incontro con il presidente della Repubblica
Ahmet Necdet Sezere, è stato seguito da quello con il presidente per gli Affari religiosi, Alì Barkadoglu, e con la rappresentanza del corpo diplomatico
alla quale Benedetto XVI ha rivolto l’invito a lavorare per quel
dialogo che «permette alle diverse religioni di conoscersi meglio e di
rispettarsi reciprocamente». Severo il monito sul compito cui ogni
credente è chiamato di rinunciare a giustificare il ricorso alla
violenza come espressione legittima della propria fede. Il secondo
giorno del papa in Turchia si è aperto con il trasferimento ad Efeso e
la celebrazione della santa messa nel santuario della casa della Madre
Maria, luogo in cui dalla predicazione degli apostoli Paolo e Giovanni
sorse una delle prime comunità cristiane e che, secondo la tradizione,
fu abitazione della Madonna. Nel pomeriggio uno degli appuntamenti più
attesi del viaggio: l’incontro con il patriarca ecumenico Bartolomeo I.
L’abbraccio, primo gesto compiuto dal papa all’arrivo ad Istanbul, ha
posto le basi per rinnovare il comune impegno a «perseverare
nell’itinerario che porta alla riconciliazione». La giornata si è
conclusa con la visita alla Chiesa di San Giorgio dove sono conservate
le reliquie di san Gregorio Nazianzeno e quelle di san Giovanni
Crisostomo, donate da Giovanni Paolo II nel 2004. Il 30, giorno delle
celebrazioni per la festa di sant’Andrea, al Fanar, sede del
patriarcato ecumenico ha avuto luogo la firma della Dichiarazione congiunta tra Bartolomeo I e Benedetto XVI:
risalta la volontà di arrivare ad una vera e autentica comunione, nel
nome della tutela della libertà religiosa, del rispetto delle
minoranze, del rifiuto della violenza e della difesa dei valori
cristiani di fronte al relativismo e alla secolarizzazione, della pace
in Medio Oriente e del dialogo interreligioso. Nel pomeriggio altri
importanti appuntamenti: la visita alla basilica di Santa Sofia,
divenuta moschea con la presa di Costantinopoli del 1453 e oggi museo,
e quella alla Moschea Blu, inserita nel programma solo all’ultimo
momento. Ratzinger, accompagnato dal Gran Muftì di Istanbul,
all’ingresso nel tempio più importante per i musulmani turchi, si è
tolto le scarpe in segno di rispetto e davanti al mihrab, la nicchia
rivolta alla Mecca, ha recitato una preghiera personale. In serata
l’incontro con il patriarca armeno apostolico Mesrop II, segnato ancora
una volta dal tema della riconciliazione e, a seguire, quello con il
metropolita siro-ortodosso Filuksinos e con il gran rabbino della
Turchia, Isak Haleva.

Il papa ha voluto che la conclusione del viaggio fosse interamente dedicata all’incontro con la comunità cattolica locale.
Nella messa in latino, presieduta nella cattedrale dello Spirito Santo
di Istanbul, Benedetto XVI ha ricordato la «sua » Chiesa, quella che
«vive non per difendere poteri o per ottenere ricchezze, ma solamente
per donare Cristo e partecipare alla sua vita», rivolgendo ai fedeli un
forte invito alla missione: «Come i cristiani potrebbero trattenere
soltanto per loro ciò che hanno ricevuto? come potrebbero confiscare
questo tesoro e nascondere questa fonte?».

Nel complesso
il viaggio in Turchia di Benedetto XVI per quanto riguarda i rapporti
fra chiesa cattolica e mondo arabo è andato oltre le più ottimistiche
aspettative, ed ha contribuito a risanare la ferita apertasi in
occasione del discorso di Regensburg. L’incontro con Erdogan con
l’apertura sull’entrata della Turchia in Europa, l’omaggio al padre
della patria Kemal Ataruk, la visita nella Moschea Blu sono stati gesti
di amicizia ricchi di significato, capaci di cambiare il clima nel
paese e la cui portata è stata con forza sottolineata dai mass media.

Non
bisogna però dimenticare che la finalità del viaggio, secondo
l’indicazione dello stesso pontefice, era l’incontro con il patriarca
Bartolomeo I e il “piccolo gregge” di cristiani presente nella penisola
anatolica. Lo scopo principale era dunque favorire il dialogo ecumenico
con il mondo ortodosso e fare sentire la vicinanza del papa alla
minoranza cristiana del medio oriente, dove la presenza della chiesa è
resa sempre più difficile dal crescente fondamentalismo islamico. In
questo quadro si comprendono il costante richiamo alla libertà
religiosa e al valore di uno stato laico fondato su valori religiosi,
temi ricorrente negli interventi di Benedetto XVI, e l’impegno per
l’unità dei cristiani, sottolineato dalla dichiarazione comune con
Bartolomeo I, il cui significato d’altra parte, se si considera
l’autocefalia dei patriarcati ortodossi, la limitatezza della
estensione di quello di Costantinopoli, e il fatto che il più grande
ostacolo sulla via della piena comunione è rappresentato dal
patriarcato russo, è stato forse esagerato dal alcuni commentatori.
Così come nel caso della lezione di Regensburg il rapporto con l’islam
rimane sullo sfondo degli interessi del pontefice; i suoi interventi
sono da considerarsi rivolti soprattutto “ad intra”; hanno come primo
oggetto l’Europa con le sue radici cristiane, le minoranze cristiane
nel mondo, e il dialogo ecumenico con le chiese separate, in primo
luogo quella ortodossa. I tre cerchi concentrici della sua azione
pastorale, rapporto con le religioni non cristiane, con le chiese
separate e con la comunità cattolica, indicati dal papa nell’udienza
generale di mercoledì 6 dicembre ripercorrendo le tappe del suo viaggio
in Turchia, non descrivono soltanto tre diverse sfere di missione ma
anche un ordine di importanza ed interesse.

La visita
alla Moschea Blu non sembra nascere dalla sottolineatura della pace,
legata alla preghiera religiosa, come tema teologico fondamentale  e da
un programma di lotta al secolarismo sulla base del comune senso
religioso; in questo è diversa dai grandi gesti profetici di Giovanni
Paolo II. Il richiamo al comune impegno in difesa della sacralità della
vita ha caratterizzato il discorso al presidente dell’Ufficio per gli
Affari religiosi Alì Bardakoglu, ma, se si tiene conto che la visita
alla moschea è stata introdotta nel programma del viaggio negli ultimi
giorni prima della partenza in un clima di violenta protesta e di
isolamento del pontefice, quest’iniziativa appare rispondere piuttosto
a ragioni diplomatiche. Anche l’apertura sull’entrata della Turchia in
Europa nel rispetto di determinate condizioni, dopo che nel 2001
l’allora cardinale Ratzinger aveva definito questa eventualità come
anti-storica, si presenta come una deroga ai principi in forza di una
considerazione realista e pragmatica dei vantaggi che questa apertura
potrebbe portare per i cristiani in Turchia e nell’area medio-orientale.

La
posizione di Benedetto XVI rientra in questo in pieno nella tradizione
della chiesa, che, nella sua storia, è sempre stata pronta a
distinguere “tesi” e “ipotesi”, e a scendere a compromessi diplomatici
e sfumare i propri principi nella sua azione politica secondo le
convenienze per garantire le condizioni concrete che assicurino la
possibilità di esistenza del popolo cristiano.