Benvenuto Bush, la storia ti darà ragione
12 Giugno 2008
Bisogna aspettare e prendere appunti: 11 giugno 2008. Scattate le fotografie e conservatele: questo è l’ultimo viaggio di un presidente che dovrà essere giudicato con calma, che sarà catalogato dal futuro, che sarà valutato quando sarà un pensionato con lo Stetson in testa. A Roma lo hanno fischiato. Quello che non è stato fatto con Ahmadinejad è stato fatto con George W. Bush, perché buoni e cattivi spesso vengono confusi, perché la diplomazia a volte inverte ruoli, perché l’antiamericanismo è uno dei mali degli ultimi decenni.
L’Air Force One atterra a Roma e scende un uomo che ha cambiato il mondo. Sì l’ha cambiato: ha ereditato gli anni Novanta, ha gestito il post undici settembre, ha cominciato la guerra più difficile della storia degli Stati Uniti, quella al terrorismo globale. George W. Bush, il criticato, l’odiato George W. Bush s’è trovato a gestire i disastri della sicurezza nazionale americana dell’era Clinton, ha visto il suo Paese subire l’attentato terroristico più grave, ha visto le lacrime e la paura della gente. Bisogna aspettare, perché la storia non finisce e si trascina: la politica internazionale americana, l’esportazione della democrazia in Medio Oriente non possono essere giudicate adesso. Ci vuole tempo, ci vuole pazienza. Harry Truman fu il presidente delle bombe H su Hiroshima e Nagasaki, della violenza inaudita per l’umanità: la storia l’ha riabilitato ampiamente, la campagna elettorale americana 2008 l’ha addirittura santificato.
Roma ospita un potente che ha subito la più enorme campagna mediatica “anti” dell’ultimo secolo. La campagna militare in Iraq contestata come un affare personale, la caduta di Saddam Hussein presa come una specie di insulto all’umanità, la guerra ai Talebani che proteggevano Al Qaeda considerata quasi una azione contro un governo legittimo e democratico. Quando l’Iraq sarà definitivamente pacificato e l’Afghanistan anche, il mondo scoprirà che il poliziotto Bush sarà servito e avrà reso un favore all’umanità.
L’Europa l’ha detestato per la gran parte del suo doppio mandato: al crepuscolo della sua esperienza alla Casa Bianca ritrova un amico come Silvio Berlusconi e una nuova alleata come Angela Merkel. E’ il paradosso. Bush abbandona ora che il contesto internazionale gli può rendere giustizia. Per sette anni ha avuto tutti contro: l’opinione pubblica internazionale condizionata dalle inchieste e dalle pseudoinchieste della stampa liberal americana, le diplomazie internazionali, le Nazioni Unite.
L’America di Bush è più forte dell’America di Clinton, ma adesso deve affrontare la crisi economica che è l’ultimo strascico della crisi internazionale cominciata per le lacune delle amministrazioni che l’hanno preceduta. Eppure a Washington, Bush Junior non s’è mai lamentato: gli hanno disegnato addosso l’abito dell’affarista e del presidente di un gruppo di “oligarchi” delle corporation: eppure nel 2004 l’America ha avuto la possibilità di cacciarlo e non l’ha fatto. Vuol dire che qualcosa di buono questo presidente poco amato e molto oltraggiato l’avrà fatta. Qualcuno lo riconoscerà, prima o poi.