Berlusconi detta i tempi del nucleare. Obiettivo: l’atomo in tre anni

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Berlusconi detta i tempi del nucleare. Obiettivo: l’atomo in tre anni

27 Aprile 2010

In un clima reso rovente dagli strascichi dello strappo di cinque giorni fa tra Berlusconi e Fini, il nucleare italiano continua faticosamente il cammino intrapreso circa due anni fa con il nuovo piano energetico del Governo (50% con gas, petrolio, carbone pulito; 25% con nucleare; 25% da fonti rinnovabili).

I vari ministri interessati cercano di sbrogliare i nodi ancora da sciogliere e i Big nazionali Enel e Finmeccanica, dopo aver trovato l’accordo per lo sviluppo del nucleare in Italia (il vertice bilaterale Italia-Francia), scaldano i motori. L’industria italiana s’è messa in moto perché, come ha ricordato il ministro Scajola, già nell’autunno di quest’anno le imprese potranno iniziare a proporre le richieste di concessione per le autorizzazioni alle centrali nucleari, considerate un volano per gli investimenti. Al punto da poter ricadere nella misura dell’80% sul sistema industriale italiano (a breve si tratta di costruire i 4 impianti firmati Enel ma il piano di Scajola prevede 8 impianti).

Così, mentre ieri i riflettori del palcoscenico della politica erano  puntati sulle dimissioni di Italo Bocchino e la riunione tra Fini e finiani, il faro dell’energia era tutto per il film-nucleare. A scrivere la sceneggiatura è stato lo stesso Berlusconi, che nel corso dell’incontro con Vladimir Putin ha fissato tempi e modi.

L’annuncio (forse un pò troppo ottimista): i lavori per la prima centrale in Italia saranno iniziati entro tre anni (nell’ottica della collaborazione Italia-Russia, è stata anche data notizia che l’Eni potrebbe espandere la sua collaborazione con Gazprom anche al di fuori dell’Europa, ad esempio in Africa). “Prima di individuare un luogo in cui realizzare una centrale nucleare – ha detto il premier – bisogna che cambi l’opinione pubblica italiana. Dobbiamo fare una vasta opera di convincimento, guardando alla situazione francese. In Francia le comunità locali scendono in campo per avere le centrali in casa loro, hanno ormai raggiunto una consapevolezza della non pericolosità degli impianti, che portano anche tanto lavoro. In situazioni locali – ha continuato Berlusconi – dove c’è bisogno di maggiori posti di lavoro si scatena la rincorsa per avere le centrali. Ne ho parlato anche con esponenti della nostra tv di Stato, stiamo lavorando a un progetto per raccogliere le esperienze dei francesi che vivono vicino alle centrali – ha concluso – È un lavoro che durerà più di un anno, ma è preliminare per individuare i luoghi degli impianti”.

Uno dei nodi più spinosi per la ripresa italiana dell’atomo si nasconde proprio lì, tra la gente. Scarsa informazione, retaggi di pensieri che riportano alla mente il disastro di Chernobyl  e campagne orchestrate ad hoc hanno, in questi due anni, alimentato la paura verso il nucleare.

L’opinione pubblica, l’ostilità delle comunità locali (che avranno forti agevolazioni non solo per Comuni e Province ma anche per le comunità dei cittadini che a loro volta avranno un beneficio sulla bolletta elettrica) e la scelta dei siti sono quindi dei problemi strettamente legati tra loro. Che solo attraverso una buona campagna di comunicazione e di informazione al pubblico (secondo il Decreto di febbraio, quello che disciplina la localizzazione, la realizzazione e l’esercizio di impianti di produzione di energia elettrica nucleare) possono fare davvero passi in avanti alla strategia energetica del Governo. Del resto, ad oggi la situazione è complicata: 12 Regioni hanno fatto ricorso alla Corte Costituzionale; Puglia, Basilicata e Campania hanno promulgato una legge regionale in cui escludono la realizzazione di centrali nucleari sui loro territori e il Governo ha impugnato di fronte alla Corte Costituzionale tali leggi, eccependone la competenza sulla materia.  L’udienza della Consulta che dovrebbe decidere è stata calendarizzata per il mese di giugno, quando la Corte giudicherà anche sulle impugnazioni, fatte dal governo a febbraio.

A sollevare il velo delle ipocrisie era stato, appena qualche settimana fa, anche l’amministratore delegato di Enel, Fulvio Conti, che aveva introdotto il dibattito sulle prospettive future, la resistenza delle comunità locali e la scelta dei siti con queste parole: "Il nucleare non mi preoccupa, mi baso sull’esperienza di molti Paesi industrializzati che la usano da sempre, sui fatti scientifici che ne comprovano l’assoluta sicurezza. La scienza più che l’ignoranza, credo sia l’elemento di fondo”. Pur riconoscendo come in un Paese dove, dal punto di vista dei terremoti, dei rischi idrogeologici, trovare un centimetro quadrato d’Italia non a rischio, tutto è tranne cosa semplice, Conti aveva specificato come "aree adatte ce ne sono e comunque teniamo conto che, anche in situazioni di estrema sismicità, come ad esempio in Giappone, è provato che le moderne centrali nucleari vengono costruite con criteri così rigorosi che possono resistere a qualsiasi tipo di scossa".

E  sul problema dello smaltimento scorie, la rassicurazione: "Vorrei citare un dato quantitativo: una centrale come quella che vogliamo fabbricare e costruire qui in Italia", sottolinea, "ci mette sette anni di funzionamento per riempire un container di scorie, di rifiuti potenzialmente radioattivi. E’ un problema assolutamente gestibile". Al punto che se anche fosse vicino casa sua, dice Conti, "non mi darebbe alcuna preoccupazione. Avrei il vantaggio di avere ancora più sicurezza vicino casa mia".

Per i protagonisti della partita, al film-nucleare manca solo l’impronta finale. Ma per iniziare i lavori entro tre anni di starda da fare ce n’è ancora parecchia.