Berneri, il Duce e i difetti degli italiani
23 Settembre 2007
Il volume Mussolini grande attore. Scritti su razzismo, dittatura e psicologia delle masse (Santa Maria Capua a Vetere, Edizioni Spartaco, 2007) raccoglie, a cura di Alberto Cavaglion, tre scritti degli anni 1934-1935 di Camillo Berneri. Cresciuto nella Reggio Emilia di Prampolini e in seguito vicino al fiorentino “Non mollare” e a Gaetano Salvemini, malatestiano, Berneri (1897-1937) espatria in Francia e in Belgio dopo le leggi speciali nel 1926, sarà imprigionato in Francia per non aver rispettato l’ordine di espulsione e morirà a Barcellona nel 1937, a circa un mese di distanza dai fratelli Rosselli, non per mano di qualche sicario fascista, bensì degli stalinisti presenti in Spagna, dove era andato a combattere nella guerra civile. Il suo giudizio sul fascismo non è banale: “Bisogna che gli italiani si sbarazzino di Mussolini – scrive -, ma bisogna anche che si sbarazzino dei difetti che hanno reso possibile la vittoria del fascismo.” Il male italiano secondo Berneri risiede nella mancanza di una coscienza collettiva, che si esprime nel culto dell’eroe, nel gesto individuale, nel predominio dell’individualità sul gruppo e sulla collettività. Legge questo tratto come la compensazione psicologica di una mancanza, secondo il suo uso della psicologia applicata alla politica. “Quando un avventuriero come Mussolini può giungere al potere, vuol dire che il paese non è né sano né maturo.”, scrive. Si scopre leggendo queste pagine che l’interpretazione secondo la quale il fascismo non è affatto una parentesi nella storia italiana era già presente in alcuni dei contemporanei e degli oppositori, e non doveva aspettare il dopoguerra per manifestarsi. “Anarchico sui generis” lo definisce Cavaglion nella Introduzione a questa raccolta: in effetti, sia l’interesse per la religione sia il federalismo cattaneano della giovinezza sia infine la curiosità per la psicoanalisi e l’ebraismo (e una grande curiosità, in generale) lo differenziano da posizioni troppo ortodosse.
Le notazioni acute sono molte: sulla simpatia per il fascismo presente in paesi snervati dal parlamentarismo e dall’eccessiva burocrazia, sugli anni Trenta come epoca di dittature più che di regimi liberali, sull’antisemitismo degli ebrei (studiato in particolare in Otto Weininger), su quello che viene definito “il delirio razzista” della Germania di Hitler. Nel primo saggio (Mussolini grande attore) Berneri cerca di rispondere alla domanda se Mussolini sia un grande uomo politico, e la sua risposta è positiva. Ma – aggiunge – per essere un grande uomo politico bisogna essere un grande attore: e Mussolini lo è senza dubbio. Il grande attore non recita da solo, ha bisogno di una atmosfera: l’atmosfera di Mussolini è la psicosi del popolo italiano. Ecco delinearsi così pagine acute e poco lette su Mussolini interpretato in chiave di psicologia collettiva, dal momento che per Berneri il politico è ben lontano dal pensatore e per comprenderlo occorrono strumenti diversi dalla teoria. L’uomo politico non è diverso dalla ballerina, dal venditore ambulante, dall’imbonitore: in un’epoca di masse quel che importa è convincerle, entusiasmarle, non farle pensare. Ma il potere conquistato con l’arma delle parole è un pallone destinato a sgonfiarsi presto: per durare ha bisogno di un piano, di obiettivi chiari da raggiungere. Mussolini non ha né piano da raggiungere né obiettivi chiari: nei suoi discorsi tutto è confuso. Scrive Berneri: “Parole, ancora parole, sempre parole.”
Affermare che Mussolini è un grande uomo politico non significa dunque affatto apprezzarlo. Da un lato Berneri afferma che Mussolini è un prodotto della eterna storia italiana, dall’altro che le condizioni del suo apparire si creano negli anni Venti. E’ solo dopo la prima guerra mondiale che è possibile, infatti, avere un demagogo su scala nazionale. E occorre ricordare che i demagoghi sono il segno e l’espressione di una realtà nazionale in decadenza profonda. Gli uomini politici sono creati, oltre che dalla pubblicità che essi stessi si fanno, dalla stampa: di essa Berneri sottolinea il grande ruolo svolto anche in questa occasione. Ma, soprattutto, gli uomini politici che seducono le folle sono il prodotto di una vera e propria psicosi collettiva, di una malattia dello spirito individuale che diventa contagio generale.
Berneri ricostruisce con tratti rapidi il clima dell’epoca, le istruzioni ai maestri per la continua celebrazione di Mussolini nelle scuole, le veline alla stampa, l’inflazione delle foto, l’onnipresenza della figura del duce in ogni occasione e con ogni pretesto, le regole per le acclamazioni della folla (si doveva acclamare solo il duce e nessun altro personaggio), le preghiere rivolte a Mussolini in veste di Dio, la proiezione dei film Luce, l’accurata organizzazione delle parate, e attraverso tutto questo la creazione di un “culto idolatra” del capo. Ogni capo presuppone una folla: senza la folla Mussolini non è niente. Le sue qualità oratorie, il presunto coraggio, il mito della sua capacità instancabile di lavoro, hanno bisogno di un pubblico plaudente. Mussolini (uomo di grande intuito ma di scarse letture, secondo Berneri) ha costruito un personaggio, una maschera, e con il passare del tempo “La maschera è divenuta il suo volto.” D’altra parte, il fenomeno Mussolini è possibile solo nell’epoca in cui esiste una folla pronta per essere conquistata da parole vuote e altisonanti. Scrive Berneri: “Mussolini è il Rodolfo Valentino della politica.” Il riferimento va all’immensa popolarità dell’attore, in particolare nel pubblico femminile, alle scene di isteria collettiva che accompagnarono la sua vita e la sua improvvisa morte. Nel giudizio di Berneri qualcosa di molto simile accade tra Mussolini e la folla alla quale si rivolge.
I caratteri della psicosi collettiva a parere di Berneri non sono posseduti solo dal binomio folla-capo che caratterizza il seguito di massa al fascismo: sono propri di molteplici aspetti del suo mondo, della sua epoca. In questa raccolta di scritti se ne trovano più esempi, che cadono nel raggio dell’interesse dell’autore anche perché caratterizzati, tutti, dalla necessità della psicologia (e di quella collettiva in particolare) per spiegare la politica contemporanea.
Così questi scritti, oltre a essere una testimonianza del loro tempo, ci lanciano una provocazione e un interrogativo sulla nostra storia più e meno recente.