Bibbia e fucile, l’America profonda non cambierà dopo la strage di Tucson

Banner Occidentale
Banner Occidentale
Dona oggi

Fai una donazione!

Gli articoli dell’Occidentale sono liberi perché vogliamo che li leggano tante persone. Ma scriverli, verificarli e pubblicarli ha un costo. Se hai a cuore un’informazione approfondita e accurata puoi darci una mano facendo una libera donazione da sostenitore online. Più saranno le donazioni verso l’Occidentale, più reportage e commenti potremo pubblicare.

Bibbia e fucile, l’America profonda non cambierà dopo la strage di Tucson

17 Gennaio 2011

Dunque il massacratore di Tucson, Jared Laughner, il giovane uomo che ha lasciato a terra sei vittime, compresa una bambina di nove anni, e ferito seriamente Gabrielle Giffords non aveva niente a che fare con il movimento dei “Tea party”. Si tratta di un individuo disturbato mentalmente, fanatico di Marx e Hitler, convinto di vivere sotto una tirannia e con l’hobby di bruciare la bandiera a stelle e strisce (cosa che un americano di destra non farebbe nemmeno sotto tortura). Invece la prima reazione, e non solo le prima, dei progressisti d’oltreoceano e della vecchia Europa è stata di puntare il dito accusatorio contro Sarah Palin e contro quella parte del paese che la vorrebbe Presidente, che legge la Bibbia, è fiera di possedere armi da fuoco e considera l’aborto un omicidio.

L’accusa era basata non solo sul linguaggio spesso sopra le righe e ricco di metafore guerresche della Palin e di alcune frange del partito Repubblicano (ma gli stessi Democratici non si risparmiano in tal senso) ma soprattutto su una pretesa superiorità morale dei progressisti. L’America profonda, lontanissima non solo geograficamente dai principali centri culturali delle due coste degli States, è infatti giudicata spesso per mezzo di stereotipi.

Un aiuto a comprenderla meglio viene da un interessante lavoro di Joe Bageant da poco tradotto e pubblicato in Italia da Bruno Mondadori: La Bibbia e il fucile. Cronache dall’America profonda.
L’autore conosce bene quel mondo, quello dei “redneck” bianchi del Sud statunitense; da lì proviene. Nato a Winchester in Virginia vi è ritornato una decina di anni fa dopo aver combattuto in Vietnam, vissuto in una comune hippie, praticato il buddismo e in seguito  abbracciato il marxismo. Ora ha leggermente ridotto le sue aspettative rivoluzionarie, ma continua a definirsi un socialista e a leggere la complessità del reale soprattutto con le lenti del determinismo economico.

Bageant è un esponente di quel brillante giornalismo Usa che mescola il pamphlet politico all’inchiesta romanzata (un po’ come fa il più famoso Michael Moore); ha sfornato un libro scritto brillantemente, informato ed avvincente, risolutamente schierato a sinistra e molto fazioso. A dargli retta, la destra conservatrice e liberista americana è popolata da voraci pescecani impegnati esclusivamente nell’ingannare i poveri proletari ignoranti che finiscono per votare contro i loro stessi interessi economici perché incantati dalla retorica patriottica e dai deliri del fondamentalismo cristiano. Ma il buono del libro, oltre che nello stile, lo si trova proprio nell’accusa pesante rivolta alla sinistra liberal e democratica. Secondo Bageant la classe istruita e gli attivisti mediatici di Hollywood non conoscono la provincia sterminata e proletaria, la giudicano antropologicamente inferiore e la trascurano per via di un sottile razzismo. Così l’abbandonano alle grinfie di tipi loschi “con la bava alla bocca” come i Bush invece di cercare un dialogo e chiederne i voti.

Bageant ha scritto il libro proprio per offrire a questa sinistra saccente un ritratto in primo piano delle “legioni abbirrazzate dei redneck”per le quali “alcol, Gesù e cibo sono le tre vie di fuga dai debiti e dalla fatica”. Attraverso il microcosmo del suo paese natale, racconta le vite travagliate ma piene di fede in Dio e nei valori americani di questi proletari. Un intero pianeta da scoprire, dunque, ignoto all’americano “evoluto” e all’europeo, solo toccato di striscio anche dalla grande industria del cinema.

Già è preziosa le genealogia offerta da Bageant di questa gente: le origini vanno cercate nell’etnia dei bellicosi, devoti, scozzesi dell’Ulster. Guerrieri di confessione calvinista trapiantati sul confine per sedare le rivolte dei cattolici irlandesi, poi emigrati nel Nuovo Mondo per fuggire la tassazione feroce e lo sfruttamento. Oltreoceano finirono di nuovo sul confine, questa volta per difendere le piantagioni dei grandi proprietari terrieri dagli assalti degli indiani, poi vennero gettati alla conquista del West e nelle guerre dell’impero americano, da quella di secessione a quelle recenti contro il terrorismo. Dal Sud degli States si sono sparsi per tutto il territorio nazionale, diventando il nerbo della nazione.

Del tutto fieri della loro libertà (illusoria a parere di Bageant, giacché non sono altro che proletari) i redneck manifestano una proverbiale ostilità nei confronti dell’intervento dello Stato nelle loro vite. Ecco perché rifiutano l’assistenza pubblica, percepita come “elemosina”. La profondamente radicata etica del lavoro calvinista li porta a credere che “essere ricchi è la dimostrazione che Dio ti ama” mentre il mancato successo economico viene accettato con una buona dose di fatalismo. Ovviamente sono stati loro a pagare maggiormente la grande crisi finanziaria; si erano infatti indebitati all’inverosimile chiedendo mutui al di sopra delle loro possibilità, spesso per comprare solo una di quelle case smontabili e trasportabili (chiamate “trailers”) da 79mila dollari.

Raccontando la vita religiosa della sua gente, Bageant non si risparmia qualche vezzo laicista. Non era necessario; è fin troppo facile ridicolizzare gli eretici cristiani che interpretano alla lettera la Bibbia e la impongono come unico libro di testo nelle loro madrasse battiste e presbiteriane sparse per il paese. Per l’autore, proveniente da una famiglia molto credente, tutto il pensiero religioso è riconducibile alla superstizione e di conseguenza la lotta contro l’aborto o contro le pretese totalitarie dello scientismo sono inganni della stessa risma dello scontro di civiltà (che Bageant non riconosce ma riconduce a sporche manovre dei neocon).

Il capitolo più interessante del libro, e quello di maggiore attualità dopo la sparatoria di Tucson, è dedicato alle armi. È noto che si tratta di uno degli argomenti principe usati dai Democratici contro gli avversari politici (con eccezioni, però: la Giffords sostiene la libera circolazione di pistole e fucili). Bageant, nipote e figlio di cacciatori di cervi, con addosso il perenne odore del lubrificatore per fucili, riconosce il legame ancestrale esistente  fra caccia e religione e stigmatizza l’arroganza che offende e demonizza chi porta un’arma. È il secondo emendamento della Costituzione statunitense a garantire tale libertà, il diritto di proteggere la casa da pazzi, criminali e da un eventuale governo dispotico.

Infatti quasi la metà delle famiglie americane possiede un’arma, spesso senza mai usarla. Bageant riporta dati precisi e svela che spesso il solo mostrare pistola o fucile ha salvato molti afroamericani dai linciaggi dopo la fine della segregazione, ha impedito stupri di proletarie e fermato criminali prima dell’arrivo della polizia. Le sparatorie accidentali in ambiente domestico o le stragi compiute da folli (come quella nella scuola di Columbine, raccontata da Moore) sono in percentuale risibile se si considera l’altissimo numero di armi circolanti. Sono il buon senso e la responsabilità a trionfare, pare.

Dalla lettura de La Bibbia e il fucile, se ne può uscire con profonda simpatia nei confronti di questi discendenti dei barbari scozzesi dell’Ulster. Come sintetizza Bageant, “siamo gli stessi tizi melodrammatici, testardi e ossessionati da Dio che vi hanno dato Johnny Cash, Ronald Reagan, Bill Clinton, Mark Twain, Edgar Allan Poe”.