Biopolitica, finché c’è Verdini c’è speranza

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Biopolitica, finché c’è Verdini c’è speranza

19 Marzo 2008

La giornata si annuncia densa: conferenza stampa a
Firenze e manifestazione a Empoli, sempre sui temi della biopolitica. Partenza
all’alba per Firenze con Eugenia Roccella, la portavoce del family day che, per
rispetto del ruolo, viaggia sempre con un membro della sua famiglia. Stavolta
l’accompagna Luigi, suo marito e anche lui, come Eugenia, amico da una vita.

A Firenze la conferenza stampa sull’uso illecito da parte
delle regioni rosse della pillola abortiva, la Ru486, è prevista per
mezzogiorno e mezzo. Nella sede del partito, in via Speziali, c’è ad attenderci
il coordinatore regionale Denis Verdini, toscano verace che per tutti quei temi
che approfondiscono un po’ troppo gli aspetti della vita e soprattutto della
morte ha una pregiudiziale diffidenza: roba da Amici miei, per intenderci.

Ciò nonostante è lui a introdurre la conferenza stampa;
poi tocca a me. Parlo della scommessa del PdL: interpretare su questi temi il
ruolo proprio dei grandi partiti liberali europei aderenti al Partito Popolare.
Si tratta, in sintesi, di far parlare i fatti anziché prodursi in roboanti
proclami ideologici; di individuare quei temi che per la loro incidenza sono
destinati a cambiare lo spazio pubblico e che, per questo, implicano
necessariamente scelte politiche; di indicare, su questi problemi, delle
soluzioni che possano valere per tutti i membri del partito, credenti e non
credenti che siano. Rispetto alle sue opzioni, un partito liberale deve sempre
lasciare spazio per affermazioni di coscienza in senso diverso. Ma questa è
tutt’altra cosa rispetto alla pratica del Partito Democratico che ritiene,
invece, possano esistere più verità: quella della Binetti e quella di Veronesi;
quella dei radicali e quella dei cattolici. E che, per questo, il partito non
debba far altro che proporsi come strumento di mediazione.

Eugenia applica i precetti che io ho cercato di individuare
in astratto alla drammatica concretezza dell’aborto. Lo fa da par suo.
Evidenzia, in particolare, come dietro la scelta delle regioni rosse di
“spingere” in ogni modo la pillola abortiva, forzando il parere dello
stesso Consiglio Superiore di Sanità, vi sia una scelta ideologica che porta
dritta dritta a smantellare la 194 e la sua logica laica: quella di voler
essere un mezzo per far fronte a un dramma evitando la deriva della
clandestinità.

La chiosa finale spetta a Verdini. Confessa la sua
allergia per il tema: “Questi problemi non rientrano nel mio Dna”. Ma
significativamente aggiunge: “E’ paradossale che un assessore cerchi di
accelerare in tal modo un iter, incurante della salute delle donne. E’ la
solita prepotenza della sinistra!”. In cuor mio provo un grande
compiacimento: se qualcosa dei temi biopolitici è riuscita a passare persino
nel dna di Verdini, allora c’è speranza che sia possibile fondare un grande
partito che riconosca i principi cristiani come proprio dna e che, per questo,
su queste tematiche non si creino più fratture d’altri tempi tra credenti e non
credenti!

Dopo il pranzo da Marione, partenza per Empoli dove si
replica in una sala, un tempo storica sede delle riunioni della Democrazia
Cristiana. Sono in compagnia di Alessio Bonciani e Benedetta Bellini: due tra i
più giovani candidati. E’ una strana sensazione. Per una vita sono stato
considerato un enfant prodige tanto da pensare, a volte, di avere un grande
futuro dietro le spalle. Ora, accanto a loro, mi ritrovo all’improvviso nella
parte del mallevadore. Se la cavano benissimo. Sono ancora più convinto che la
strada presa è quella giusta: tra incomprensioni e difficoltà stiamo veramente
costruendo il primo grande partito liberale della storia repubblicana.

Diario di un candidato