Biotestamento, il Cottolengo annuncia disobbedienza civile
15 Dicembre 2017
Ad appena 24 ore dalla sua definitiva approvazione in Senato, la legge sul testamento biologico rivela i suoi (annunciati) gravi vizi. Il più pesante riguarda l’obiezione di coscienza che, volutamente, il testo non prevede. Omissione che la maggioranza tiene cautamente sotto banco, mentre i giornaloni e i tiggì, imbeccati dall’ufficio stampa del PD, sfacciatamente hanno ripetuto in questi giorni che l’obiezione per il medico c’è, ignorando non solo le argomentazioni dell’opposizione, ma – quel che è più grave – il testo della legge, che su questo punto è chiarissimo .
Come ripetutamente sottolineato durante il (breve) dibattito parlamentare, la legge approvata ieri impone che l’esecuzione eutanasica, qualora venga richiesta da un paziente attraverso le Dat, venga assecondata in tutte le strutture pubbliche e private, quindi anche in quelle cattoliche. È per questo che don Carmine Arice, superiore generale del Cottolengo di Torino, uno dei complessi ospedalieri cattolici più grandi e più antichi del Paese, un simbolo, oggi dice con chiarezza: “noi non applicheremo le Dat”.
“Non possiamo eseguire – afferma il sacerdote – pratiche che vadano contro il Vangelo, pazienza se la possibilità dell’obiezione di coscienza non è prevista dalla legge: è andato sotto processo Marco Cappato che accompagna le persone a fare il suicidio assistito, possiamo andarci anche noi che in un possibile conflitto tra la legge e il Vangelo siamo tenuti a scegliere il Vangelo”.
La richiesta di sospensione delle cure, compresa alimentazione e idratazione, che i cittadini possono liberamente specificare nelle proprie Dat è in evidente contrasto con i principi che orientano ogni giorno il lavoro e la dedizione di uno stuolo di operatori cattolici, a cui questa legge illiberale ha negato il diritto a dire “Io non ci sto”. “In coscienza – prosegue don Arice – non possiamo rispondere positivamente ad una richiesta di morte: quindi ci asterremmo con tutte le conseguenze del caso”.
Si annuncia dunque una sorta di resistenza civile, di disobbedienza consapevole che, del resto, era anche prevedibile in un Paese che deve molto, in termini di sostenibilità del sistema sanitario nazionale, all’eccellenza della sanità privata cattolica.
Secondo don Arice, che è stato direttore nazionale della pastorale sanitaria della Cei ed è membro dell’organismo vaticano per gli ospedali cattolici, “il tema vero da affrontare, e che non viene affrontato, è quello di creare condizioni che permettano a chi è solo e in condizioni di difficoltà e sofferenza di non invocare la morte, a cominciare dalle persone anziane che si trovano in povertà e afflitte da patologie. Invece vediamo prevalere troppo spesso la cultura dello scarto che spinge le persone più deboli a dire ‘tolgo il fastidio’ “.
Per fortuna ci sono sacerdoti come don Arice che non la mandano a dire.