Bocciando il Lodo Alfano la Corte ha minato i rapporti tra poteri dello Stato

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Bocciando il Lodo Alfano la Corte ha minato i rapporti tra poteri dello Stato

08 Ottobre 2009

Che la Corte costituzionale potesse bocciare la legge Alfano non era affatto un dato acquisito. Anzi. La legge era stata scritta basandosi proprio su un precedente della Corte del 2004 (sentenza n.24), quando venne bocciata la c.d. legge Schifani. In quell’occasione, infatti, si disse e si scrisse (da chi oggi è giudice costituzionale), che la sentenza non “sbarra la strada al Parlamento”, perché “essa non richiede una legge costituzionale, ma stabilisce un accurato equilibrio tra l’assicurazione del sereno svolgimento delle rilevanti funzioni delle cinque più alte autorità dello Stato e i principi fondamentali dello Stato di diritto”. Certo, è pur vero che da noi, a differenza dei paesi di common law, non c’è il vincolo del precedente (anche se c’è il valore della certezza giurisprudenziale), e quindi le giurisdizioni possono modificare il loro indirizzo liberamente, però sappiamo benissimo che la Corte costituzionale ha sempre svolto anche un ruolo di tipo para-legislativo. Cioè, nelle sentenze ha molto spesso richiamato quelli che possono essere i percorsi costituzionalmente corretti, che il legislatore deve intraprendere qualora volesse riproporre una legge bocciata dalla Corte.

 

E anche nel 2004 era andata così. E quindi, il legislatore, sentenza della Corte alla mano, aveva riscritto la legge, e non aveva volutamente (perché glielo aveva detto la Corte) utilizzato la fonte della legge costituzionale. E in tal senso, aveva dato il suo avvallo il Presidente della Repubblica, il quale aveva addirittura motivato positivamente l’apposizione della sua firma alla legge Alfano.

Ora, invece, la Corte compie una capriola e nello scarno comunicato stampa di ieri, con il quale annuncia l’illegittimità della legge, dice che vi è violazione (anche) dell’art.138 della Costituzione, cioè la norma che disciplina le leggi costituzionali.

 

Certo, andranno lette con attenzione le motivazioni della sentenza, perché quella è la sede nella quale la Corte spiega e chiarisce il perché ha assunto la decisione di incostituzionalità. Resta però l’idea che sia saltato un rapporto di leale collaborazione fra i poteri dello Stato, in questo caso Corte costituzionale, Parlamento e Presidente della Repubblica. Perché se è vero che la Corte aveva indicato al legislatore e, indirettamente, al Capo dello Stato, quale strada percorrere nella riscrittura della legge, allora doveva coerentemente mantenere quel suo indirizzo di cinque anni e valutare la legge costituzionalmente legittima.

 

Insomma, in questa vicenda si doveva tenere fermo quel principio fondamentale del costituzionalismo, che è la leale collaborazione fra i poteri dello Stato. E lo si doveva fare in nome di un principio, altrettanto fondamentale del costituzionalismo, che è l’assicurazione del sereno svolgimento delle rilevanti funzioni che ineriscono alle alte cariche dello Stato. In una parola: la governabilità.

Che succede ora? Direi nulla. La Corte ha bocciato una legge ma non certo un governo. Il problema è che difficilmente si riuscirà ad assicurare il sereno svolgimento delle funzioni da parte del Presidente del Consiglio, specie se dovessero riprendere le continue richieste di procedimenti penali. Vorrà dire che il Presidente del consiglio dovrà sottrarre del suo tempo alla governabilità per difendersi nelle sedi processuali. Per intanto, però, il Parlamento potrebbe da subito avviare una riforma costituzionale, che va nello spirito dei nostri padri costituenti. E cioè ripristinare l’art.68 della Costituzione che prevedeva, tra l’altro, l’autorizzazione a procedere che doveva essere concessa dal Parlamento.

E’ un torniamo alla Costituzione. Così come fu voluta e scritta nel 1948. Non un salto indietro e né tantomeno una restaurazione. E’ la presa d’atto di quello che avevano sapientemente colto i costituenti. E cioè che lo svolgimento delle rilevanti funzioni (parlamentari e di governo) non può essere oggetto di strumentalizzazioni giudiziarie. Non è affatto un freno all’operato della magistratura. E’ ancora una volta, piaccia oppure no, una salvaguardia del principio di leale collaborazione fra poteri.