Bolivia spaccata dalla revolución di Morales

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Bolivia spaccata dalla revolución di Morales

06 Maggio 2008

Révolution? No,
revolución. L’ortografia della parola più terrificante per la storia passa
dalla superbia francofona alla melodica latinoamericana. Il vocabolario della
rivoluzione è ristampato in spagnolo, perché il fantasma del socialismo
s’aggira nella metà rossa del continente americano. La seconda generazione di
regimi rossi è emigrata dal blocco comunista al blocco sudamericano. Il
passaggio dell’equatore ha cambiato volti e bandiere, ma la volontà di manipolare
la realtà è importata direttamente dalla cortina di ferro.  

Indio-Bolivia.
Quando alla fine del 2005 Evo Morales diventa il primo presidente indigeno
della Bolivia, oltre a seguire la cerimonia istituzionale per l’assunzione dei
poteri, inscena una teatrale incoronazione nell’antico rito indigeno. Quel
gesto simbolico era il preambolo di una strategia di aggressione alla
democrazia rappresentativa, al libero mercato, alla proprietà privata, ai
diritti della Chiesa cattolica. Basta poco a raggiungere il culmine. La
nazionalizzazione delle riserve naturali comincia nella data simbolo del 1
maggio 2006 ma si conclude meno trionfalmente con il governo a secco di fondi.
Poi il grande botto: Morales riscrive la costituzione per mettere nero su
bianco la sua revolución socialista. Dalla riforma costituzionale alla
rivoluzione costituzionale: il parlamento viene esautorato dei suoi poteri che
passano, di fatto, al partito di Morales. Il progetto della nuova carta viene
definito all’interno di una base militare senza la presenza dei partiti
d’opposizione – che protestano nelle piazze, dove cadono tre civili e i feriti
sono decine.

L’addio
alla democrazia rappresentativa spalanca le porte all’autocrazia indigena.
L’etnicità è alla radice della visione socialista di Morales, che configura la
sua rivoluzione come la rivoluzione di un popolo sfruttato dalla minoranza di
un altro popolo sfruttatore. In realtà il baricentro demografico è molto più
equilibrato, perché la maggioranza indigena si ferma al 60% della popolazione e
il restante 40% rappresenta molto più di un’èlite. Ecco perché sul piano
economico questa rivoluzione costituzionale impone una drastica limitazione
della proprietà privata. La nuova costituzione diventa l’arma per colpire le
proprietà terriere su cui si fonda il potere dell’opposizione. Lo scacco sembra
matto, ma sulla scacchiera un gruppo di rilevanti pedine decide di cambiare
gioco.

Kosovo,
Sudamerica. La struttura socio-economica boliviana soffre la tensione di un
conflitto storico tra i discendenti dell’èlite spagnola, insediati nelle
pianure ricche di risorse, e la maggioranza indigena dispersa sulle
sottosviluppate alture andine. La nuova costituzione voluta da Morales è il
colpo di grazia per la borghesia dei grandi centri urbani. Così la reazione è
pari all’azione scatenante. I governatori di cinque (Santa Cruz, Beni, Pando,
Tarija, Cochabamba) delle nove regioni che compongono la Bolivia hanno lanciato
un progetto di autonomia dal governo centrale. Se la protesta non serve, resta
solo la secessione. Il dissenso contro Morales dilaga in quasi due terzi della
Bolivia. Il momento cruciale sarà il referendum indetto nei territori separatisti
per il prossimo 4 maggio.

Il  modello del Kosovo è pronto ad essere
esportato anche in Sudamerica. Ma a differenza dei Balcani, il blocco dei paesi
socialisti latinoamericani è pronto ad impugnare le armi per difendere
l’integrità territoriale della Bolivia e della sua rivoluzione. Il governo ha
raccolto il guanto di sfida. Da un lato sventola la carota di un’ampia tutela
costituzionale per l’autonomia locale. Dall’altro ricorre al bastone per
spezzare la resistenza dei separatisti dichiarando illegale il loro referendum
e congelando ogni finanziamento statale. Ma la minaccia della nuova
costituzione socialista coagula nel separatismo la difesa dei diritti
dell’intera Bolivia. La sorte di Morales si sta capovolgendo: dall’empasse sul
referendum per ratificare la nuova costituzione all’accelerazione sul
referendum per spaccare la Bolivia. Adesso, in una commedia degli errori che ha
perso la sua logica, i latifondisti, i capitalisti, la classe dei proprietari
si riscopre nei panni della classe sfruttata, pronta alla sua
contro-rivoluzione. 

La
tensione sull’integrità territoriale della Bolivia è il segnale che la spinta
rivoluzionaria di Morales sta arrancando. Ma il passaggio tra la conquista del
potere e il suo consolidamento deve essere brevissimo. Ecco perché per Morales
è un’operazione vitale tradurre sul piano costituzionale un potere politico la
cui causa finale è sostituirsi allo stato. Se questa operazione fallisse, sulla
rivoluzione, a qualunque latitudine, calerebbe l’autunno.