Bombe e velo: è questo il patto che regge la nuova Turchia?

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Bombe e velo: è questo il patto che regge la nuova Turchia?

22 Ottobre 2007

Improvvisamente è diventato complicato raccapezzarsi
nelle cronache della politica turca. Il paese che sembrava spaccato dalla
lacerazione tra i difensori della laicità dello stato e l’ambiguo riformismo dei
filo-islamici ora è irriconoscibile. Ma in quel conflitto si potevano scorgere segnali
contraddittori. Il riformismo islamico, così slanciato verso l’Europa e il
progresso economico, continua a propugnare una visione sociale decisamente più
tiepida verso la sfera mondana, la secolarizzazione pubblica e il valore dell’individuo.
Il partito della giustizia e dello sviluppo è anche il partito dell’ordine
sociale – valori che sorridono apertamente al profilo delle forze armate. Il
capo di stato maggiore viene tipicamente rappresentato come il supremo custode
della costituzione laica. Ma prima di tutto è il gran sacerdote del
tradizionalismo turco, lo stesso che, in fondo, cercano anche i filo-islamici. L’abbraccio
tra secolarismi e islamici sarebbe stata una lettura proibita al tempo
dell’infuocato scontro elettorale e delle elezioni presidenziali. Oggi invece è
un’interpretazione calzante: in Turchia i nemici inaugurano un’incredibile
distensione laddove pesava la crisi e l’idea di un colpo di stato militare per
scalzare i filo-islamici galleggiava sospetta nelle menti di tutti. Invece pochi
giorni fa l’intero arco parlamentare ha concesso alle forze armate di
sconfinare nel Kurdistan iracheno per debellare i nuclei della guerriglia curda
– nessun partito ha rifiutato il suo consenso, con l’ovvia eccezione della
minuscola frazione curda. Sta per scoppiare una guerra tra Turchia e Iraq? Forse
no, se la sfibrata diplomazia irachena riuscirà ad arrampicarsi sugli specchi
fino al punto da promettere la pulizia del Kurdistan dalle incrostazioni del
terrorismo curdo. E’ uno scenario ipotizzabile anche se irrealistico, visto il
potere del governo regionale curdo nel costituire una delle due grucce, insieme
agli sciiti, che sostengono il traballante governo di Baghdad. Così la
possibilità di una guerra fa scoppiare la pace tra militari e governo islamico.
In maniera repentina sboccia un sodalizio tra il primo ministro e il capo di
stato maggiore. Come nei migliori esempi del nazionalismo, basta l’idea di
un’aggressione esterna che le divisioni interne si ripianano. Ma è difficile
credere che nel volgere di qualche mese le forze armate abbiano deciso di
inerpicarsi su una via così aspra. E’ ancora più difficile credere che il
governo appena rieletto, da sempre concentrato sul benessere e l’integrazione
europea, abbia invertito la prua per seguire i venti del nazionalismo. Allora
per raggiungere questa sorprendente intesa bisogna pensare a qualcosa di più
che una simpatia improvvisa.  Sotto al
velo del nazionalismo potrebbe nascondersi un patto di potere. in questi giorni
i filo-islamici hanno messo a segno un altro colpo per fortificare il loro
potere con un referendum costituzionale per l’elezione diretta del presidente
della repubblica. In caso di approvazione, niente più estenuanti votazioni
parlamentari che stavano per bloccare la corsa al potere di Gul. Un governo con
una indiscussa maggioranza e il primo presidente dichiaratamente islamico – il
piatto delle forze armate piangeva. Perciò andava pareggiato il conto per la
desistenza dell’esercito, ovvero di quella che resta la colonna portante della
Turchia e che pretende di continuare ad esserlo, con o senza il velo. Finora
vediamo soltanto la prima metà di questo patto occulto, cioè l’esibizione della
potenza militare contro i curdi in Iraq. L’altra metà, che è ancora coperta, potrebbe
essere la carta bianca per Erdogan sulla legislazione interna, che il governo
islamico potrà ricostruire a sua immagine e somiglianza. Come sempre gli occhi
del pubblico si focalizzano laddove luccica qualcosa e in questo momento sono i
cannoni che brillano. Ma la politica adora l’oscurità e quando spunteranno i
primi raggi di luce la Turchia, mentre cannoneggia sul Kurdistan, potrebbe
scoprire sgradevoli sorprese da questo governo amico dell’Europa ma fedele
all’islam. Mentre si prepara nei sotterranei questa avanzata islamica, la
Turchia sta già cambiando la sua posizione internazionale. Il destinatario del
messaggio sono gli Usa, dove un surplus di sciovinismo ideologico del congresso
democratico sta gettando alle ortiche l’alleanza strategica con la Turchia. La
Siria si è affrettata a sostenere il suo potente vicino turco e Siria vuol dire
Iran, il partner ideale per condividere una rocciosa egemonia sul Medioriente. Forse
Bruxelles è uno spazio troppo angusto per le mire di Ankara, che ora si ritrova
protagonista di grandi equilibri. Tutto ciò è materia politica, cioè quello che
sta diventando sempre più un dominio personale del governo di Erdogan.