Breve storia del Qualunquismo e di come finirà Beppe Grillo

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Breve storia del Qualunquismo e di come finirà Beppe Grillo

29 Maggio 2009

Rieccolo! In vista delle prossime elezioni torna il “grillismo”. E stavolta ha alzato il tiro… comizi infuocati, opportunamente ripresi da note trasmissioni televisive, hanno provveduto ad informarci che Grillo manderà in campo sotto le sue insegne liste di “crociati” per ripulire il marciume della classe politica italiana. A meno di due anni dal debutto ufficiale, dunque, il popolo del “vaffa”, da movimento contro la politica, diventa a tutti gli effetti un movimento politico. Come era logico e perfino inevitabile…

Niente di nuovo sotto il sole, sbufferà chi ha memoria o abitudine a frugare tra le carte del passato. La storia italiana, solo per fermarsi a quella più recente, è piena di fronde e movimenti di contestazione, di Pasquini e Masanielli, illustri predecessori del comico genovese. Ma un caso in particolare si presta, più degli altri, al paragone. Nel secondo dopoguerra, nella selva di partiti e partitini rispuntati dalle macerie del fascismo, si fece largo un curioso movimento d’opinione: un autentico “divertissement politico”, con un nome destinato a fare storia.

Il fronte dell’Uomo Qualunque, così si chiamava, si raccolse intorno all’omonima rivista fondata nel 1944 dal commediografo e giornalista napoletano Guglielmo Giannini. In anni di polemica barricadiera contro il regime partitico che andava istaurandosi in Italia, infatti, il foglio satirico riuscì a catturarsi le simpatie di un vasto settore dell’opinione pubblica, trasformandolo in un movimento che si diede veste politica. Lo appoggiavano vasti settori della piccola e media borghesia e del sottoproletariato, e all’apice del successo non gli furono indifferenti nemmeno i grandi potentati come la Confindustria.

Giannini ne era il vate e l’istrione. Con un linguaggio spigliato e rutilante, di facile presa sull’uomo della strada, metteva alla berlina le chiacchiere stantie dei “vecchi tromboni” d’anteguerra, che ormai suonavano scordati, e d’altro canto l’immaturità e il pressappochismo della nuova classe politica. Antesignano del “vaffa” di Grillo, il suo motto si limitava ad un pudico “Non ci rompete le scatole!”; ma a quei tempi, e in quella politica, suonava come una provocazione scandalosa.

Insulti grevi o stoccate di fino, Giannini non le mandava a dire a nessuno. Con sfrontatezza e una senso innato  della ribalta… Celebri rimangono le sue invettive contro i partiti “affamatori del popolo”, degni eredi del re e del Duce, e quelle furibonde contro l’assenteismo parlamentare, per denunciare lo scarso peso del dibattito politico in aula rispetto alle decisioni prese in altre sedi (a cominciare proprio dai vertici di partito). Come Grillo, che diserta televisioni pubbliche e private, anche Giannini, in un’Italia ancora ignara del piccolo schermo, affidava i suoi strali a comizi, corsivi velenosi e vignette satiriche, autentici capolavori di acume e virulenza.

In una tra le più note, dentro un’aula di Montecitorio semideserta, il presidente dell’Assemblea chiede a un assistente: “Perché così pochi deputati?”, e quello sconsolato risponde: “Sono presenti solo quelli che devono parlare oggi”. Attacchi del genere contro il neonato sistema parlamentare procurarono a Giannini la fama di neo-fascista, quasi che il semplice disprezzo del presente bastasse a qualificarlo come “nostalgico”.

Sull’onda del successo “mediatico”, peraltro, Giannini non rinunciò a tentare la carta elettorale. Alle elezioni del 2 giugno per la Costituente e alle amministrative del 1946 il fronte dell’Uomo Qualunque raccolse una buona messe di voti, imponendosi come una delle principali forze politiche italiane. Il fenomeno mise in allarme gli esponenti dei partiti tradizionali che si industriarono a ricalcare in ogni modo lo stile innovativo di Giannini, a volte perfino cavalcandone le polemiche, per recuperare il consenso perduto. Investito dalla controffensiva dei colossi della politica, condizionato dagli errori e dall’inesperienza del suo stesso leader, il movimento “qualunquista” finì per scendere a patti con l’establishment e perse poco alla volta il favore degli “scontenti”. Alle elezioni politiche del 1948, in blocco col Partito Liberale, ottenne un risultato modesto e negli anni successivi si disgregò completamente.

Giannini ripiegò prima nella Democrazia Cristiana, poi nel giovane Movimento Sociale e infine nel Partito Monarchico. Tra i militanti, invece, i meno avvezzi alla politica tornarono all’arte o all’anonimato; quanti ci avevano preso gusto migrarono nelle file dei partiti “regolari”. Così, in poco tempo, il fronte dell’Uomo qualunque evaporò, lasciando un graffio nella corazza di burro della nuova Repubblica e insieme un crudo insegnamento.

I saltimbanchi e i colpi di teatro fanno comodo alla bisogna, ma a lungo andare la politica è roba da professionisti. O lo si diventa (Berlusconi docet) o si getta la spugna. Giannini non aveva la vocazione, e forse la stoffa, dell’uomo politico: non riuscì a trasformare la carica eversiva del suo partito in un impulso costruttivo. E ben presto urne ed elettori smascherarono la sua pregevole “impostura”. Quanto a Grillo, il tempo giudicherà. Saprà radicare il suo movimento e dare, una volta per tutte, l’avvio alla catarsi oppure ripeterà la breve, controversa parabola dell’Uomo Qualunque.