Bush invoca l’Aja per sospendere una condanna a morte
12 Ottobre 2007
È difficile che sia per motivi elettorali. È difficile che George W. Bush voglia
mettersi contro lo Stato che lo ha portato alla Casa Bianca per prendere i voti
dei latinos. È difficile che un presidente non rieleggibile cerchi consensi
elettorali per sé e tantomeno per altri. George W. Bush ha deciso di andare
allo scontro con il governatore del Texas Rick Perry sulla questione delle pena
di morte per il caso di José Medellin, un messicano reo confesso in un caso di
duplice omicidio.
Il
caso c’è. Da governatore del Texas, Bush diede luce verde a 152 iniezioni
letali e in sei anni da presidente non ha mai mostrato segni di ripensamento
sulla legittimità degli Stati Uniti a essere boia dei criminali. Proprio per
questo i rapporti tra la Casa Bianca e la Corte penale di Giustizia dell’Aja
sono sempre stati tesi. Invece stavolta Bush invoca proprio il tribunale
internazionale per aiutarlo a sospendere l’esecuzione di Medellin.
Chi
guarda con sospetto alla mossa del presidente sostiene che dietro ci sia un
calcolo elettorale per accaparrarsi le simpatie dei latinos. Pare bizzarro.
Nessuno considera che il leader della più importante democrazia planetaria già
nell’occhio del ciclone per non aver rinunciato alla pena di morte, ha
l’obbligo morale di controllare che almeno giuridicamente non ci siano vizi
nella condanna. E qui invece, secondo Bush ci sono. Per questo il presidente
vuole che il Texas si fermi un secondo.
Medellin
faceva parte di una banda giovanile, i Black&White. Era un duro di Houston:
nel 1993, quando aveva appena 18 anni insieme ad altri membri della gang,
rapinò e uccise due ragazze di 16 e 14 anni. Il ragazzo confessò il duplice
omicidio e fu condannato a morte nel 1994. Nove hanno dopo, il Messico ha
chiesto l’intervento del tribunale dell’Aja. Perché nella processo che ha
portato alla condanna ci sarebbe stato un errore di procedura: secondo la
Convenzione di Vienna sui diritti legali dei prigionieri, i detenuti stranieri
hanno diritto a ricevere l’assistenza legale dalle autorità diplomatiche del
loro paese. Medellin era nato in Messico, quindi avrebbe potuto essere
assistito da un avvocato chiesto al consolato messicano. Il giorno dell’arresto,
il giorno dell’inizio del processo nessuno gli aveva letto questo diritto. Così
nel 2004, la Corte dell’Aja ha censurato il comportamento degli Usa.
Bush
lo sa e sa che l’errore è stato commesso. In un documento presentato alla Corte
Suprema l’amministrazione Bush ribadisce la sua ferma opposizione ad applicare
altre decisioni del tribunale internazionale a casi penali dei singoli stati:
«Il presidente non concorda con l’interpretazione della Convenzione di Vienna
fatta dalla Corte Penale», ma ha in questo caso ritiene che ignorarla
provocherebbe danni agli interessi americani all’estero. Il caso verrà discusso
questa settimana dalla Corte Suprema federale che già nel 2005 si era occupata
dello stesso caso: il ricorso di Medellin era stato però respinto sulla base
del parere dell’amministrazione che poco prima aveva ordinato alle corti
statali di riesaminare il problema, rendendo quindi non necessario il riesame
da parte dei giudici di Washington.
Stavolta
le cose sono un po’ diverse, però. La Corte Suprema ha già in agenda un
verdetto sulla costituzionalità dell’iniezione letale. E questo potrebbe
allargare molto le prospettive: se la Corte dovesse per caso dichiarare
incostituzionale questo sistema, allora cambierebbero diverse cose. Molti boia
si dovrebbero fermare per cambiare l’iniezione letale con un altro tipo di
esecuzione. In attesa del pronunciamento della Corte Suprema, il Texas ha di
fatto sospeso le attività del boia di Huntsville, il penitenziario vicino
Houston dove la macchina della morte di stato ha superato quest’anno quota 400
da quando gli Usa hanno ripristinato le esecuzioni.
Su
questo sfondo già complicato, il caso Medellin si presenta come un test dei
poteri presidenziali contro quelli degli Stati. Il Texas sostiene che né Bush né
la Corte dell’Aja hanno voce in capitolo, una posizione che nel 2000, quando
era candidato alla Casa Bianca, lo stesso Bush aveva difeso a spada tratta
quando qualcuno metteva in dubbio il suo operato da governatore: «Non mettete
il becco negli affari del Texas», era stato il ritornello del futuro presidente
ripreso dal suo successore Rick Perry quando a fine agosto l’Unione Europea gli
chiese di fermare la 400ª iniezione letale: «I texani sanno governarsi bene da
soli». E proprio Perry ora non vuole intromissioni di alcuno. Neppure della
Casa Bianca.