Bush vuole “risparmiare” agli americani una sanità all’italiana

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Bush vuole “risparmiare” agli americani una sanità all’italiana

08 Ottobre 2007

La data chiave è il 18 ottobre. Quel giorno a
Washington il Congresso voterà nuovamente sulla estensione del programma di
assistenza sanitaria pubblica per i bambini oggetto del veto di George W. Bush.
La maggioranza democratica a Capitol Hill dice di essere vicina ad avere il
numero di voti necessari per rovesciare il blocco presidenziale.

Ieri lo speaker della Camera, Nancy Pelosi, ha
parlato con i giornalisti di Fox e ha spiegato senza scendere nei dettagli che
in questi giorni la leadership del suo partito sta lavorando a doppia velocità
per convincere 14 congressmen repubblicani ad unirsi agli altri esponenti del
Grand Old Party che hanno già appoggiato la misura.

Il gioco è molto politico e poco sociale: il tema è
molto sentito dalla gente e siccome l’America è in piena campagna elettorale
non solo per le primarie presidenziali ma anche per il rinnovo della Camera dei
Rappresentanti, i capoccioni democratici vogliono spingere i repubblicani in
maggiori difficoltà nella corsa al seggio del Congresso ad appoggiarli per ottenere
un tornaconto elettorale.

Da qui al 18 ottobre, nei distretti elettorali dei
repubblicani in bilico, si scatenerà una campagna di spot pubblicitari contro
il veto di Bush. Rahm Emanuel, numero tre democratico alla Camera e genio della
vittoria di mid-term, è stato più che chiaro: «Sanno che non riusciranno a
sostenere questo voto nell’autunno del 2008 e pregano affinchè le cose si risolvano
adesso».

Al Senato, i democratici hanno già la maggioranza
necessaria a rovesciare il veto presidenziale: hanno passato il provvedimento
con 67 voti favorevoli e 29 contrari. E forti di questo per ora rifiutano le
offerte di compromesso arrivate dalla Casa Bianca.

Con il suo rifiuto di varare la legge voluta dal
Congresso, Bush forse ha commesso un autogol. Il tema della sanità è diventato
centrale negli Stati Uniti: ne parlano tutti i mezzi di informazione principali
e per la prima volta da oltre un decennio – da quando cioè fallì il piano di
riforma del sistema voluto da Bill Clinton e studiato per lui dalla moglie
Hillary – tutti i candidati alle presidenziali 2008 hanno nel loro programma un
piano di ristrutturazione del sistema attuale.

Quello che ne parla di meno è Fred Thompson, mentre
gli altri, sia democratici sia repubblicani, ne stanno facendo un cavallo di
battaglia della campagna elettorale. Bush è stato colpito da un’ondata di
critiche bipartisan per il veto sul potenziamento dello Schip (State children’s
health insurance program) che secondo i piani elaborati dal Congresso estenderebbe
l’assistenza gratuita a quattro milioni di bambini in più rispetto ai sei che
già oggi possono sfruttarlo.

Il blocco del presidente non è stato un capriccio o
un perverso e sadico tentativo di far morire più facilmente dei giovanissimi
americani, come invece hanno tentato di far intendere molti giornali specie
italiani. L’opposizione del presidente risponde a un criterio che fino a poco
tempo fa pareva inossidabile per la cultura e per la politica americana: i
cittadini che hanno la possibilità, devono avere l’assicurazione medica
privata. Secondo l’analisi della Casa Bianca, l’ampiamento dello Schip per 35
miliardi di dollari porterebbe a garantire la copertura pubblica non ai bambini
poveri, ma anche ai figli di famiglie con redditi intorno agli 80mila dollari.
Bush non considera poveri questi bimbi e sostiene che allargare l’assistenza
anche a loro sarebbe un disincentivo troppo forte al vero cardine del sistema
sanitario americano, ovvero quello delle privato.

«Un sistema sanitario pubblico toglierebbe agli
americani la possibilità di scegliere e farebbe venir meno le specializzazioni
che offre il mercato privato», ha spiegato il presidente nel consueto discorso
radiofonico del sabato. Una sanità di quel tipo, ha proseguito il presidente,
«provocherebbe buchi enormi di bilancio, si tradurrebbe in inefficienza e
lunghe liste di attesa negli ospedali».

Per Bush questo finirebbe per svantaggiare proprio i
veri poveri. Per questo, prima che il Congresso lavorasse a questa riforma,
aveva studiato un suo piano di potenziamento dello Schip: cinque miliardi di
dollari in più, per dare cure gratis ai nuovi bimbi poveri, stimati in circa un
milione.

In quel momento, l’autogol l’ha commesso il
Congresso che non ha appoggiato il piano del presidente, lasciando che quel
milione di bambini meno abbienti fosse scoperto dalla mutua. Il problema è che
nel gioco delle parti, l’errore delle Camere a maggioranza democratica non è
stato evidenziato dai mezzi di informazione liberal. È ovvio che il veto del
presidente ha fermato una riforma sette volte più forte, però il no del
Congresso è sembrato un puro sgambetto politico che, per danneggiare la Casa
Bianca, tiene i bambini che ne hanno veramente bisogno fuori dall’assistenza
sanitaria.

In più, la maggioranza democratica non se ne è
pentita, mentre almeno Bush ha capito che il veto su un tema così popolare e
sentito è stato un grave errore. Per diversi commentatori conservatori, il
presidente avrebbe dovuto superare la consuetudine e non ostacolare una riforma
che spinge il Paese verso una sanità più universale.

Ora anche lui vede il 18 ottobre come data chiave.
Per far capire di averci almeno parzialmente ripensato, ha già annunciato di
voler aumentare i fondi allo Schip del 20 per cento. Viene incontro ai
democratici e si augura di trovare disponibilità dall’altra parte: un accordo
prima del 18 ottobre, magari un emendamento al testo del Congresso che preveda
stanziamenti finali simili a quelli ipotizzati dalle Camere, ma scaglionati
diversamente.

Spera soprattutto che la leadership democratica non
ne approfitti politicamente, pensando solo a recuperare i 14 voti che servono
per annullare il suo veto e dargli uno smacco enorme. Se così fosse il rischio
sarebbe enorme: con un solo deputato repubblicano indeciso, salterebbe tutto. E
un milione o quattro milioni di bambini, sarebbero le uniche vittime.