Buzzi non l’ha inventato Alemanno

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Buzzi non l’ha inventato Alemanno

01 Ottobre 2015

Per Alemanno decade l’accusa più pesante, quella di associazione a delinquere di stampo mafioso, nell’ambito dell’inchiesta per mafia Capitale. Resta in piedi, ancora, la possibilità di rinvio a giudizio per corruzione e finanziamento illecito. L’ex sindaco avrà le sue colpe, se non altro politiche (per le altre aspettiamo che la magistratura giudichi), ma quello che colpisce è che il coinvolgimento di Alemanno, con le sue immagini che scorrono sugli schermi televisivi ogni volta che si parla di Buzzi e Carminati, fa dimenticare il punto cruciale della vicenda, e cioè che il sistema Buzzi nasce tutto all’interno della sinistra, anzi nel cuore dell’ideologia buonista della sinistra, ibridata con una robusta dose di gestione spregiudicata del potere, anch’essa assai tipica delle amministrazioni (non a caso inamovibili) delle città e delle regioni rosse.

 

L’idea di favorire il recupero dei condannati attraverso pene alternative al carcere  e strade privilegiate per accedere al lavoro si consolida a metà degli anni Ottanta, e si chiama “risocializzazione”. La coop 29 giugno è uno degli esperimenti che meglio illustrano il concetto, e mette insieme detenuti comuni, come lo stesso Buzzi, colpevole di omicidio –ha ucciso il socio con 34 coltellate- e detenuti politici. Si mescolano, in questa attenzione alle carceri, gli strascichi di battaglie sessantottine (Lotta continua prese in prestito un titolo famoso di Frantz Fanon- I dannati della terra- per dare voce alle rivolte nelle carceri di quegli anni), la cultura cattolica, un garantismo che ancora aveva diritto di cittadinanza a sinistra. Tra i più efficienti sostenitori dell’operazione di risocializzazione c’è Angiolo Marroni, che ha ricoperto vari ruoli per il Pci nella provincia di Roma e in regione, e che è padre del deputato Pd Umberto. Un’inchiesta recente dell’Espresso su Mafia capitale titolava: “La dinastia rossa dei Marroni; così gli uomini del Pd lavoravano con i clan”.

 

Negli anni  Novanta l’organizzazione di Buzzi cresce in modo esponenziale e mette radici. Lo strumento per affermarsi lo trova nella legge (del ’91), che permette appalti senza gara alle cooperative sociali. Una vera manna. E così, con tutte le giunte (rosse) che si susseguono a Roma, Buzzi e i suoi si allargano, si inseriscono nel tessuto dell’amministrazione capitolina, acquistano sempre più credibilità interna ed esterna, anche perché il presidente Scalfaro ha concesso a Buzzi la grazia.

 

Cose che si sanno, che sono state già dette e scritte, anche perché sono molte le figure di politici e funzionari di sinistra coinvolti nell’inchiesta. Cose che però rischiano di essere dimenticate di fronte alla forza delle immagini, in cui si vede sempre e solo Alemanno. Nessuna ombra sfiora chi lo ha preceduto, quei sindaci sotto i quali il sistema è stato inaugurato e poi alimentato. E lasciamo perdere Marino, così convinto che Buzzi fosse un campione della risocializzazione da destinare a lui il suo primo stipendio, e accettare che contribuisse  alla sua campagna elettorale.