Cambiare il rapporto tra Authority e Parlamento
22 Febbraio 2010
Il tema del convegno di oggi – le Autorità amministrative indipendenti – ha una caratteristica assai peculiare. Da un lato riguarda un fenomeno del nostro ordinamento relativamente recente se si pensa che, con l’eccezione della CONSOB istituita nel 1974 e profondamente riformata nel 1982), è solo con gli anni novanta che, sulla scorta di modelli stranieri, anche il nostro Paese imbocca con decisione la strada della creazione di autorità amministrative indipendenti con l’obiettivo di garantire che alcune funzioni di regolazione, di vigilanza e di garanzia vengano esercitate da organismi ad hoc caratterizzati da elevata competenza tecnica e da separatezza rispetto alle ordinarie strutture amministrative guidate dal Governo. Da altro canto non può essere taciuto come la tematica in discussione potrebbe essere ritenuta ormai logora ove si consideri che è ormai più di un decennio che la politica, in Parlamento come nel Governo, e la cultura, nelle università come nelle fondazioni, discute animatamente sul tema senza riuscire a giungere ad una visione condivisa e, quel che più conta, ad interventi di riforma del sistema.
Eppure ritengo che il tema sia oggi cruciale. Cruciale non solo per gli addetti ai lavori, ma anche per coloro che sono interessati all’evoluzione generale del nostro sistema istituzionale ed alle strategie necessarie e utili per elevare la capacità complessiva di risposta delle istituzioni, di tutte le istituzioni, alle esigenze del Paese nel suo complesso. Alle esigenze del sistema economico, dei produttori e prima ancora dei consumatori, ed alle esigenze del sistema sociale, di tutti i cittadini e prima ancora di quelli in posizione di debolezza.
La “proliferazione” delle autorità indipendenti (come la definiva la I Commissione della Camera dei Deputati nel 2000 al termine della propria indagine conoscitiva) è stata contemporanea al processo di crisi profonda della politica che oggi siamo soliti chiamare “fine della I Repubblica”. E non c’è dubbio che non si sia trattato solo di una coincidenza temporale. Fra i due fenomeni vi è stato un legame profondo.
Vi è stato in primo luogo un legame di carattere strutturale. La crisi della Prima Repubblica è stata innanzitutto crisi di un modello di intervento pubblico in economia. I costi di mantenimento di una sorta di capitalismo di Stato, ormai insostenibili per la finanza pubblica, le sempre più evidenti inefficienze pagate in termini di minore competitività e di oneri per i cittadini, i vincoli derivanti dall’Europa, hanno spinto l’Italia a cambiare radicalmente pelle: da Stato imprenditore siamo diventati uno Stato regolatore. E vi è stato poi un legame di carattere funzionale. A partire dagli anni ottanta il nostro sistema ha manifestato crescenti e preoccupanti fenomeni di incapacità decisionale e di ingovernabilità. La politica del tempo aveva progressivamente smarrito la propria capacità di lettura e di guida dei fenomeni. Una crisi di governabilità che si traduceva immediatamente nell’incapacità della politica di guidare gli apparati della pubblica amministrazione nel perseguimento degli interessi pubblici e di misurare e di valutare la soddisfazione dei cittadini rispetto all’azione della burocrazia. In questo contesto apparve opportuno costruire degli ambienti amministrativi separati dal circuito della responsabilità politica e dotati di un’elevata competenza tecnica per l’esercizio di alcune funzioni di particolare delicatezza, riferite prevalentemente (anche se non esclusivamente) al settore della regolamentazione delle attività economiche.
Ma se questa ricostruzione è corretta è allora chiaro che oggi sia più che mai opportuno svolgere una riflessione pacata ed approfondita sul tema. Compiuta una faticosa transizione verso un modello di democrazia decidente, restaurato il circuito della responsabilità politica, sviluppata una profonda azione di riforma della pubblica amministrazione, è più che mai necessario verificare se ed in che misura il sistema delle autorità amministrative indipendenti rappresenti oggi un fattore virtuoso nella costruzione di un sistema istituzionale efficiente, trasparente e responsabile.
Perché, per ragionare in modo coerente sul tema, una premessa deve essere comunque tenuta ben presente: dal punto di vista strettamente teorico, in un sistema democratico tutti i poteri pubblici di regolazione e di amministrazione devono essere esercitati da apparati che in modo diretto o indiretto traggono la propria legittimazione dal consenso del corpo elettorale. In uno stato di diritto l’unico corpo che esercita poteri coercitivi senza godere della copertura democratica legittimante della coppia Governo-Parlamento è l’ordine giudiziario. L’unico potere rispetto al quale si possa parlare di vera e propria indipendenza (salva naturalmente la sua sottoposizione all’imperio della legge). In questo senso la creazione di autorità amministrative indipendenti si pone come deroga ai criteri generali di funzionamento dei pubblici poteri.
Una deroga che evidentemente non deriva dal capriccio del legislatore ma trova un solido fondamento in ragioni di carattere strutturale le quali consigliano di collocare l’esercizio di alcune delicate funzioni in un “ambiente amministrativo” particolare, caratterizzato da un marcato profilo di autonomia ed indipendenza. E non è del resto un caso se, seppure con configurazioni e secondo approcci assai diversificati, la figura delle autorità amministrative indipendenti sia presente in tutti i sistemi amministrativi avanzati. Una pluralità di soggetti, ciascuno con la propria fisionomia, ma tutti accomunati dalla presenza di un interesse pubblico sensibile alla cui tutela ciascuna è preposta.
E del resto a ben vedere proprio il legame tra strutture amministrative indipendenti e obiettivi di settore da raggiungere rappresenta uno dei tratti qualificanti del fenomeno. Con la creazione di un’autorità indipendente l’ordinamento opera una sorta di “sterilizzazione” dell’interesse pubblico al quale la nuova struttura viene preposta. Normalmente infatti nell’azione dei pubblici poteri viene sviluppata un’essenziale attività di ponderazione degli interessi in gioco ed è proprio per tale ragione che tale attività non può che essere esercitata da soggetti in possesso di una legittimazione politica. In alcuni casi, viceversa, si ritiene che un interesse sensibile debba essere perseguito in quanto tale, senza essere sottoposto a quella delicata funzione di composizione con gli altri interessi potenzialmente in conflitto. E non è del resto un caso se, se non tutte la maggioranza, e sicuramente quelle più tipiche tra le autorità indipendenti, abbiano competenze riferite alla regolazione e alla vigilanza su mercati altamente sensibili, oggetto di recenti processi di liberalizzazione o comunque gravati da rischi di monopolio naturale, asimmetrie informative o altri tipici fallimenti del mercato. In questo senso la moltiplicazione delle autorità indipendenti costituisce il sintomo certo di un mutamento culturale profondo del sistema. Un mutamento che ha condotto a una generale condivisione dei principi dell’economia di mercato e che, proprio sulla base di tale condivisione, ha posto il problema dell’efficienza dei mercati stessi.
Il problema allora non è quello di discettare in astratto sull’opportunità della presenza di Authorities nel sistema quanto piuttosto quello di scandagliare le puntuali questioni di merito dalla cui soluzione deriva la resa complessiva del sistema, la capacità delle autorità indipendenti di raggiungere effettivamente gli obiettivi in vista dei quali sono state costituite. Naturalmente il mio compito non è quello di entrare nel merito delle questioni. Sarà compito delle relazioni e degli interventi programmati analizzare nel dettaglio i diversi punti. Ritengo però utile provare a declinare una sorta di catalogo, naturalmente non esaustivo, dei problemi che a mio avviso sono sul tappeto, nella speranza che dai lavori di questo convegno possano giungere utili indicazioni ai decisori politici, anche in vista della predisposizione di efficaci interventi di riforma.
La “filosofia” delle autorità indipendenti. Vi è in primo luogo un problema generale di carattere direi filosofico. Non sempre l’istituzione di nuove autorità indipendenti è sembrata rispondere a una logica chiara e univoca. Non sempre il ricorso allo strumento dell’autorità indipendente, e la contestuale compressione delle competenze delle ordinarie strutture amministrative ministeriali, è apparso coerente nelle sue premesse politiche. L’impressione è che talvolta la nascita di una nuova autorità più che da una rigorosa analisi strutturale e funzionale sia dipesa da esigenze mediatiche (enfatizzare l’impegno delle istituzioni su un determinato problema) o da più banali interessi “corporativi” (connessi al trattamento privilegiato dei componenti e del personale delle autorità). Ma se questo è vero deve essere chiaro che in tal modo si ottengono almeno due risultati negativi. Da un lato si indebolisce la funzione istituzionale del Governo (che nel nostro Paese soffre già di una “debolezza originaria”) e dall’altro si indebolisce il profilo delle stesse autorità (che non vengono più riconosciute come soggetti autorevoli e indipendenti proprio in virtù della “eccezionalità” della loro esistenza). Per non parlare poi del profilo della lievitazione dei costi per la finanza pubblica.
Configurazione. Vi è poi un problema di configurazione generale del sistema delle autorità. La nascita delle diverse autorità indipendenti è stato il frutto non di una visione strategica e coerente ma piuttosto di decisioni puntuali succedutesi nel tempo e motivate da esigenze di carattere specifico e settoriale. Questo ha inevitabilmente determinato la creazione di un sistema nel quale vi sono innegabili asimmetrie, incoerenze, sovrapposizioni. Finora i tentativi di riforma organica del settore si sono dimostrati astratti e velleitari. Probabilmente vi è stata una sorta di “accanimento modellistico” nella vana ricerca dell’assetto teoricamente perfetto. A mio avviso occorre uscire da questa trappola e concentrarsi piuttosto sulle singole situazioni individuando e affrontando i singoli nodi la cui risoluzione può consentire un miglioramento sensibile della resa del sistema delle authorities.
La dimensione europea delle autorità. Il tema delle autorità indipendenti è reso anche più complesso dall’avanzamento del processo di integrazione europea. E’ evidente che alcune autorità, tutte quelle che si occupano di regolazione e di vigilanza su importanti settori del mercato, collocano la propria attività in un orizzonte non più meramente nazionale. La tutela della concorrenza, lo sviluppo dei processi di liberalizzazione sono profili che coinvolgono direttamente la dimensione del mercato unico europeo ed è quindi necessario verificare se lo strumento dell’autorità nazionale sia ancora oggi il più funzionale, se sia sufficiente il miglioramento dell’attività di coordinamento in sede europea, o se, come suggerito da alcuni durante la recente crisi economica internazionale, sia necessario procedere con coraggio sulla strada dell’integrazione europea se non addirittura mondiale delle funzioni di regolazione e di vigilanza sui mercati sensibili. Personalmente nutro un certo scetticismo sull’approccio costruttivistico sottostante le proposte di costruire un nuovo ordine regolatorio internazionale. Credo che una certa dose di concorrenza fra ordinamenti regolatori svolga una funzione essenziale nella riduzione dei rischi della cattiva regolazione, impedendo ad esempio che l’errore (sempre possibile) di un regolatore determini effetti devastanti su scala internazionale. Ma naturalmente anche scontando questo scetticismo il tema del coordinamento fra le autorità nazionali si pone comunque con urgenza.
Nomine. Anche per quanto concerne i procedimenti di nomina dei componenti, noi oggi registriamo una situazione estremamente diversificata, sia per quanto riguarda i soggetti titolari del potere di nomina, sia in relazione ai procedimenti e ai requisiti per le nomine stesse. Anche in questo caso ritengo che si debba rifuggire da quell’ ”accanimento modellistico” di cui parlavo. Dovrebbe però essere chiaro per quelle autorità che esercitano funzioni in materie che rientrano a pieno titolo nella sfera di competenze dell’Esecutivo, che il potere di nomina andrebbe riservato al Governo, valorizzando al contempo la funzione di garanzia e di controllo del Parlamento. Peraltro oggi solo nel caso del procedimento di nomina dei componenti dell’Autorità per l’energia è prevista la possibilità per le competenti commissioni parlamentari di audire i soggetti designati e sottoposti al parere parlamentare. Credo che, sulla scorta di importanti esempi di altri ordinamenti, il momento dell’audizione pubblica in Parlamento sia un utile strumento per elevare l’accountability delle nomine. Nel caso invece di autorità con spiccate funzioni di garanzia di diritti dell’individuo ritengo sia corretto riservarle al Parlamento. E nell’uno come nell’altro caso ritengo sia auspicabile una migliore definizione dei requisiti culturali e professionali dei componenti delle authorities.
Governance e rischi di capture. Altrettanto delicato è il capitolo della governance delle autorità la quale deve essere modellata avendo come obiettivo principale la riduzione dei rischi di capture del regolatore da parte degli interessi regolati che, come è ovvio, rappresenta il problema più serio nel funzionamento delle autorità indipendenti. Si tratta probabilmente del tema rispetto al quale si registrano i maggiori ritardi. Diversi sono gli strumenti che possono essere messi in campo: la definizione di procedimenti interni chiari e trasparenti, l’esaltazione del contraddittorio pubblico, la separazione fra funzioni istruttorie e funzioni decisorie, la presenza di rimedi giurisdizionali al tempo stesso incisivi e tempestivi. In ogni caso, deve essere chiaro che l’effettiva utilità e la stessa credibilità dell’autorità indipendenti dipendono in larga misura dalla soluzione che saremo in grado di dare a questa problematica.
Rapporti con il Parlamento. C’è un ultimo punto che vorrei toccare. Un punto collegato agli altri che ho segnalato e in particolare all’ultimo. Si tratta del rapporto fra autorità indipendenti e Parlamento. Il punto critico nel funzionamento delle autorità indipendenti è evidentemente la sospensione del circuito della responsabilità politica che normalmente governa le pubbliche amministrazioni. Una sospensione che evidentemente deriva dalla stessa ragion d’essere dell’organo ma che, nondimeno, rappresenta un problema per il sistema. Ed è proprio per non eludere il problema e, al contempo, preservare la natura indipendente delle autorità che ritengo che andrebbe sviluppato e valorizzato il rapporto fra autorità indipendenti e Parlamento. Il Parlamento come organo supremo di rappresentanza della collettività, il Parlamento come organo espressione dello Stato comunità e non dello Stato apparato, è il soggetto migliore per esercitare quella delicata ma essenziale funzione di composizione delle esigenze di indipendenza delle autorità con le altrettanto importanti esigenze di trasparenza e di responsabilità nell’attività di regolazione, di vigilanza e di garanzia. Il rapporto fra Parlamento e autorità amministrative indipendenti rappresenta già oggi un elemento consolidato del sistema. L’impressione è però che sinora sia stato declinato in modo sostanzialmente rituale: le relazioni annuali presentate dalla diverse autorità al Parlamento rappresentano evidentemente momenti importanti di tale legame ma rimangono comunque insufficienti. Ferma restando l’indipendenza della autorità nell’assunzione delle decisioni di propria competenza, il Parlamento dovrebbe diventare la sede nella quale l’attività delle autorità amministrative indipendenti viene conosciuta e valutata rispetto all’effettiva capacità di perseguire l’interesse istituzionale in vista del quale la legge ha riconosciuto poteri normativi ed amministrativi all’autorità. Una prospettiva che da un lato esalterebbe la funzione di garanzia e di controllo del Parlamento, e dall’altro rafforzerebbe la capacità delle autorità di sottrarsi ai rischi di capture e quindi la loro stessa indipendenza.