Capire l’Afghanistan con un romanzo

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Capire l’Afghanistan con un romanzo

Capire l’Afghanistan con un romanzo

23 Marzo 2007

Odori, polvere, sapori, colore del cielo e della notte: nel
“Cacciatore di aquiloni” di Khaled Hosseini trovi tutto questo. Gusti il
romanzo, il racconto, la trama, riconosci l’Afghanistan, con le sue forme, le
sue strade, la sua gente. Ottima letteratura e una trama avvolgente, forte, che
ti lascia di colpo, crudelmente. Uno di quei rari libri che ti mancano, quando
hai finito le pagine, perché sembra ti accompagnino, parte di te.

 Ma non è questa la
ragione per cui il libro va letto. Khaled Hosseini  è riuscito a scrivere un testo che è anche un
saggio, perfetto, sull’Afghanistan di ieri e di oggi. Nel dipanarsi durante i
decenni della storia del protagonista Amir e del suo amico Hassan, in quella
benedetta e maledetta vicenda di aquiloni cacciati e poi proibiti (anche questo
proibirono, coranicamente, i Talebani: far volare un aquilone) trovate tutto.
Volete capire che idee, che gesti, che amori ha un leader Taleban come quel
Dadullah che ha rapito Daniele Mastrogiacomo e ha fatto sgozzare il suo autista?
E’ uno dei personaggi meglio riusciti del libro. Non avete compreso perché
sciiti e sunniti si odiano e perché i primi massacrano i secondi? E’ l’asse
portante dell’intera vicenda, anche se lo comprendete, con disagio, quasi solo
alla fine. Nulla di quanto i barbosi islamisti –incluso il sottoscritto- vi
hanno spiegato per anni: scoprirete quell’odio sordo e profondo nelle vicende e
nella carne di tre bambini, e in quel piccolo universo ritroverete gli echi
anche dello sciita Moqtada Sadr e del sunnita Osama Bin Laden.

Volete comprendere perché a Kabul tutto è crollato su sé
stesso, a partire dagli anni settanta, i golpe continui, l’occupazione
sovietica, poi la guerra fratricida, una volta caduto il muro?

E’ lo sfondo di ogni pagina del libro, di ogni episodio: la
debolezza di una società che deve rimproverare solo a sé stessa la sua
debolezza.

Una sola cosa non è detta, ma è forte, evidente, basta solo
pensarci un poco: gli unici personaggi positivi, che via via amerete, sono
quelli formati, educati sotto la colonizzazione, sono i cosmopoliti -come il
padre del protagonista- che hanno appreso dall’educazione inglese ad amare i
propri costumi, quanto ad aprirli al mondo. Anche il loro Islam è altro, è
tradizione, più che religione, è 
-appunto- roba d’altri tempi (identica situazione il “palazzo Yacoubian”
di ‘Ala al Aswani, perfetto testo che spiega il Jihad, nel microcosmo delle
liti di un condominio del Cairo).

Chiudendo il libro, fermatevi un attimo e cercate di capire
come vi comportereste se foste un parlamentare che deve decidere se combattere
armi alla mano, o trattare, con i Talebani.

Pochi esiteranno.