Capodanno s’avvicina ed è tempo di bilanci. Soprattutto in economia

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Capodanno s’avvicina ed è tempo di bilanci. Soprattutto in economia

29 Dicembre 2008

Fine anno: tempo di bilanci, tempo di ricordi. Guardiamo alle vicende dell’oggi, la crisi economica e l’abiura frettolosa del libero mercato, gli ammortizzatori sociali insufficienti e l’insostenibilità delle pensioni ai cinquantottenni, il calo dei consumi e le tensioni di finanza pubblica. Ci viene in mente, come d’incanto, un’epoca lontana: le festività natalizie nell’anno del Signore 2007. Chiudiamo gli occhi e, come in un sogno, appaiono quei giorni. La crisi dei mutui subprime americana era già evidente, eppure essa appariva sufficientemente lontana, tanto da avere per l’economia europea conseguenze accettabili. Ad occupare le attenzioni dell’Italia era la crisi politica della maggioranza di centrosinistra e le vicissitudini del governo Prodi. Scuri nuvoloni referendari si addensavano all’orizzonte (a gennaio la Consulta avrebbe deciso per l’ammissibilità dei quesiti in materia elettorale di Segni e Gazzetta) e turbavano la quiete di Clemente Mastella, ancora ignaro del terremoto giudiziario che nel giro di qualche settimane avrebbe abbattuto il suo castello politico. Lamberto Dini e i suoi minacciavano di staccare la spina ad un governo troppo condizionato dalla sinistra massimalista. Walter Veltroni, già leader del Pd, prometteva e seduceva. Nolente o forse molto volente, demoliva. Nel centrodestra, Silvio Berlusconi aveva annunciato dal predellino di un’auto la nascita di un nuovo partito, spiazzando ad un tempo Fini, Casini e commentatori politici. Giulio Tremonti, elogiando Marx e preconizzando una crisi di matrice orientale dovuta all’eccessiva apertura commerciale, tuonava contro le banche e aveva in gran dispitto gli speculatori del petrolio. Probabilmente aveva già in animo la Robin Hood Tax.

Nella conferenza-stampa di fine anno, Romano Prodi definiva i dodici mesi appena trascorsi “l’anno del risanamento”. In realtà, si trattava di un risultato permesso dal forte aumento delle entrate dovuto essenzialmente a due fattori, l’aumento delle tasse e la congiuntura economica timidamente positiva. Non diceva il premier che, per la prima volta negli ultimi decenni, il suo governo aveva compiuto l’improvvida scelta di peggiorare il deficit tendenziale, riportandolo sopra il 2 per cento del Pil con una manovra di espansione della spesa pubblica. L’anno che volgeva al termine aveva visto uno spettacolare spreco di risorse pubbliche – il “tesoretto”, l’extra-gettito di quasi 11 miliardi di euro, frutto di stime volutamente errate sulle entrate – sottratte a destinazioni più utili al Paese: il risanamento dei conti, il taglio delle tasse, il miglioramento del sistema di ammortizzatori sociali. Il futuro appariva roseo. Padoa Schioppa e Visco scrutavano all’orizzonte nuovi tesoretti e annunciavano agli italiani che nel 2008 ci sarebbe stato un taglio dell’Irpef. Non si scendeva nei particolari – a chi il taglio e quanto – per non urtare la suscettibilità di quella sinistra che non avrebbe ammesso altra misura che il sostegno ai redditi medio-bassi.

La preoccupazione principale degli italiani era il caro-mutui: sulla stampa e per le strade si parlava di livelli record e si invocavano provvedimenti governativi, come il congelamento dei tassi. In realtà, i tassi degli ultimi mesi del 2007 erano in linea con i valori registrati nel 2006 e superiori di appena un punto percentuale ai minimi storici del 2005. Il problema, come al solito, avrebbe dovuto essere affrontato in un’ottica differente rispetto all’approccio consumerista che il ministro Bersani aveva adottato nei mesi precedenti. Ciò che davvero affaticava gli italiani era il livello stagnante dei salari. La causa, più che decennale, si chiamava (per la verità, si chiama ancora) produttività. I sindacati chiedevano una immediata detassazione dei salari per i lavoratori dipendenti: in realtà, sottolineava ad esempio Benedetto Della Vedova, la triplice chiedeva un “aiuto di stato” per la propria incapacità di accettare le riforme nel mercato del lavoro. Come definire altrimenti una misura che per ridurre le imposte ai lavoratori dipendenti avrebbe finito per aumentarla ad autonomi ed imprese, con effetti negativi sulla produzione e sulla crescita? Le risorse che avrebbero potuto permettere una riduzione delle imposte a tutti (dipendenti, autonomi e imprese) erano volate via, svanite come erano comparse.

Per un alcune centinaia di migliaia di lavoratori attempati ma ancora nel pieno delle loro forze, le feste natalizie del 2007 rappresentavano uno sventato pericolo: il Parlamento aveva appena “ratificato” (è il caso di dirlo) il protocollo sul Welfare sottoscritto dal governo e dai sindacati, che prevedeva l’abolizione dello scalone Maroni e l’introduzione di dolci e graduali scalini. Dal primo gennaio 2008 non si sarebbe maturata la pensione di anzianità a 60 anni ma a 58. Per la prima volta in Occidente negli ultimi decenni l’età pensionabile veniva abbassata, caricando sul bilancio pubblico ben 10 miliardi di euro per i successivi 10 anni. Molti padri brindavano per la novità, molti figli avrebbero pagato il conto da lì a pochi mesi, quando – con lo sbarco in Europa della crisi economica – in tanti avrebbero perso il lavoro.

All’improvviso ci si sveglia. Ma le immagini e le sensazioni del sogno restano vive, almeno per qualche minuto. E abbiamo il tempo di accorgerci di quanto irresponsabile e miope fosse quella che solevano chiamare “serietà al governo”. Quanta strada persa che si sarebbe potuta percorrere. Quante provviste avrebbe potuto mettere da parte il Governo, prima che arrivasse la bufera, invece di procedere sulla base della contingenza. Bufera che – al contrario di quanto prevedeva l’allora oppositore Tremonti, oggi ministro dell’Economia – è venuta da Occidente, non da Oriente. Il prezzo del petrolio è così basso da paventare rischi di deflazione, la relativa tenuta dell’economia cinese frena gli effetti negativi della recessione, l’Italia e gli altri paesi occidentali hanno attivato robusti piani di sostegno al sistema bancario per salvarlo dal collasso. Guai a chi, come ha fatto il Governo Prodi, si fa guidare dalla contingenza e non si copre dai rischi del futuro. Ma attenzione anche a chi si innamora troppo delle proprie previsioni. Historia magistra vitae.