Carla Bruni seduce Londra e Sarkozy ritrova un alleato
27 Marzo 2008
Nicolas Sarkozy due giorni in visita di Stato in Gran Bretagna. L’evento è
certamente di quelli di massima importanza e non solo per il fasto
dell’occasione: gli oltre cento anni dalla firma dell’Entente cordiale (1904), l’incontro tra il «sovrano democratico» e
il «monarca repubblicano», il ricevimento a Windsor e la prima uscita ufficiale
di una raggiante Carla Bruni-Sarkozy. Di solito il Presidente della Repubblica
francese va in visita ufficiale a Londra una volta sola nel corso del suo
mandato: così hanno fatto de Gaulle (1960), Giscard (1976), Mitterrand (1984) e
Chirac (1996). Se si guarda poi alla storia, quella passata, così come quella
recente, non sono mancate le incomprensioni tra le due sponde della Manica. Per
citare due casi più recenti basti pensare ai ripetuti «no» di de Gaulle
all’ingresso di Londra nell’allora Comunità europea (1963 e 1966), ingresso non
a caso riuscito solo dopo l’uscita di scena del Generale e al pessimo rapporto
tra i predecessori di Brown e Sarkozy, quell’antipatia nemmeno troppo celata
tra il «vecchio statalista» Chirac e il «giovane liberale» Blair.
La visita di Sarkozy assume un rilievo ancora maggiore se si pensa alla
difficile congiuntura che stanno vivendo i due leader. Entrambi, infatti, attraversano
una crisi di credibilità a livello di opinione pubblica: Sarkozy è reduce dalla
batosta delle amministrative e da indici di gradimento ai minimi storici. Brown,
dal canto suo, dopo un avvio promettente, a fine dicembre ha fatto registrare
il 60% degli scontenti tra i suoi cittadini. In aggiunta a questa fase di
impasse, alla quale i due leaders sembrano aver risposto in maniera speculare
(«verremo giudicati sul lungo periodo, riformare difficilmente porta a
risultati immediati») e comunque dettata da fattori specifici ai due contesti
nazionali, si deve aggiungere un dato se possibile più preoccupante: a Parigi e
a Londra i livelli di crescita sembrano paurosamente avvicinarsi a quelli
asfittici del resto del Continente. Un dato «devastante» per chi, come Sarkozy
e Brown, ha in cantiere importanti progetti di riforma.
Con questo portato storico e questi presupposti contingenti, Sarkozy alla
Bbc e nel suo intervento di fronte alle due Camere riunite in seduta congiunta
è andato immediatamente al centro dell’obiettivo della sua visita: poter
contare su Londra nel corso del semestre di presidenza francese dell’Unione
europea, che si aprirà il primo luglio prossimo. Ecco perché l’Entente cordiale deve tramutarsi in Amitié cordiale. Esce così confermata
l’importanza del cosiddetto «direttorio a tre», composto da
Parigi-Londra-Berlino per la guida dell’Ue a 27. Ma in aggiunta viene ribadita
la necessità di trovare in Londra la sponda necessaria, in particolare sui temi
della politica di difesa comune e del nucleare civile, argomenti sui quali
Berlino al momento si trova in una posizione di secondo piano. Anche se ha
fatto passi da gigante dopo l’unificazione, la Germania infatti non può
vantare un attivismo a livello di politica internazionale comparabile a quello
inglese e in aggiunta nei mesi futuri l’approssimarsi delle elezioni e i
difficili equilibri interni alla Grande Coalizione di Merkel non forniscono una
garanzia certa di sostegno a Parigi nel corso della delicata presidenza
dell’Ue.
Sarkozy, di fronte ai parlamentari britannici, ha ribadito in maniera
franca e diretta quanto l’Europa abbia bisogno di Londra e per fare questo è
andato al cuore delle grandi questioni europee.
Ha innanzitutto ribadito di sentirsi legittimato a parlare di Europa in un
Paese e di fronte ad un Parlamento che non hanno mai mascherato le loro perplessità
e riserve sulla costruzione europea, proprio in quanto Presidente di un Paese
che nel 2005 ha
detto «no» all’Europa. Ma allo stesso tempo tale l’autorevolezza gli deriva
dall’aver ottenuto l’elezione nel maggio 2007 sostenendo il tema della
ripartenza europea e la proposta, poi concretizzatasi nel Trattato di Lisbona,
di un compromesso meno ambizioso ma più pragmatico sulle istituzioni dell’Ue.
Il messaggio del doppio «no» franco-olandese era stato chiaro: i cittadini
europei volevano un’Europa diversa, Londra e Parigi devono contribuire a
costruirla insieme.
Questa Europa più vicina ai cittadini e alle loro esigenze deve essere un’Europa
concreta. E da questo punto di vista l’elenco delle priorità di Sarkozy per il
semestre di presidenza francese è in consonanza con gli obiettivi di Londra:
gestione comune del flussi migratori, lotta al terrorismo internazionale,
impegno sui temi del clima e moralizzazione del capitalismo di fronte alle
recenti e preoccupanti crisi degli istituti di credito.
Infine Sarkozy ha insistito su un punto cruciale: la ripartenza della
politica europea di difesa, da portare avanti parallelamente al completo
reintegro di Parigi nella Nato. Anche da questo punto di vista la credibilità
del richiamo di Sarkozy è accresciuta dalla discontinuità netta tra il suo
approccio e quello del suo predecessore, Chirac. Quando nel 1998 Chirac aveva
lanciato a Saint-Malo con l’allora Primo Ministro Blair la PESD (Politica europea di
sicurezza e di difesa) l’idea di una politica di difesa comune in alternativa o
comunque in competizione alla Nato era palese. Oggi all’Eliseo siede, al
contrario, il più filo-atlantico dei Presidenti della Quinta Repubblica e
questa è probabilmente la garanzia sufficiente per Londra per convincersi che
rilancio della difesa europea non significa minor impegno all’interno della
Nato. A dimostrazione di questa condotta è giunto il fondamentale annuncio di
Sarkozy, da formalizzare al prossimo vertice di Bucarest: Parigi è pronta ad
inviare 1000 uomini in Afghanistan e condivide con Gran Bretagna, Usa e Canada
l’idea che in questa regione del mondo si giochi il futuro dell’Alleanza
Atlantica.
In attesa dell’incontro bilaterale tra il Primo Ministro e il Presidente, nel
corso del quale si parlerà anche di nucleare civile (con Areva e Edf pronte a
fornire alla Gran Bretagna le loro centrali di nuova generazione), il clima di
intesa tra Londra e Parigi è stato confermato anche dallo stesso Brown, il
quale ha ribadito che chiusa la parentesi istituzionale, l’Ue si deve impegnare
nel tramutarsi in un vero e proprio attore globale.
Niente nuvole nel cielo londinese? I soggetti che potrebbero dividere le
due sponde della Manica non mancano, a partire da quella Politica agricola comune
(PAC) da sempre bestia nera per Londra e panacea per Parigi. Per non parlare
delle difficoltà che Brown dovrà ancora superare per arrivare alla ratifica
parlamentare del Trattato di Lisbona, come promesso, entro i primi di luglio.
Al momento però Londra e Parigi sembrano esser più propense a collaborare
che a competere. E questo è un segnale confortante per il futuro della
costruzione europea e soprattutto per marciare spediti verso un suo effettivo
protagonismo, troppo spesso mancato, nelle più delicate questioni di politica
internazionale.