
Caro Boeri, nella Finanziaria non c’è alcuno scippo ai lavoratori

09 Dicembre 2009
Diciamo la verità: pranzi, cene, cocktail prenatalizi, organizzati in dose massiccia da imprese, studi professionali, associazioni ed accademie varie sono proprio una iattura. Si rimbalza, per deontologia sociale, dall’uno all’altro, sottraendo tempo al lavoro, bevendo e mangiando oltre misura. E se ne esce, non già allietati e sereni, bensì appesantiti, di umore saturnino, svogliati e tendenzialmente poco disponibili nei riguardi di qualsivoglia ragionamento sereno e pacato. Sospettiamo che questa sia stata la disagevole condizione in cui si trovava Tito Boeri, allorquando, l’altro giorno, ha dovuto stilare, in tutta fretta, l’articolo apparso su Repubblica, di primo commento al testo di disegno di legge finanziaria, appena licenziato dalla Commissione Bilancio e Tesoro della Camera, per il successivo esame dell’Aula.
E’, infatti, soltanto con una massiccia dose di umor nero e non certo con la volontà di realizzare della disinformazione propagandistica che si può spiegare il fatto che larga parte del commento in questione sia dedicato, con toni apocalittici (pappagallescamente ripresi dal Senatore Marino nel suo intervento a Ballarò) ad una pressoché irrilevante manovra in tema di TFR “inoptato” (cioé non conferito dal lavoratore ad un fondo pensione complementare), che certamente non può configurarsi come elemento qualificante del provvedimento.
Intendiamoci, parlar male di qualsivoglia legge finanziaria è sempre largamente possibile, come ricordava Sergio Rizzo sul Corriere, ma l’accanimento sulla questione del Fondo di Tesoreria derivante dal TFR inoptato è davvero curiosa, sproporzionata e del tutto irrazionale.
Cerchiamo di capire di cosa stiamo parlando.
Dai tempi del decreto legislativo n.124/1993 (cioè del primo corpus organico di disposizioni in tema di previdenza complementare) il legislatore previdenziale ha variamente cercato di veicolare l’utilizzo del TFR al sostegno finanziario della previdenza complementare. La qual cosa, riconoscendo in esso una componente quantitativamente indispensabile – il TFR vale, da solo, circa il 7% della retribuzione annua – per l’alimentazione di un serio piano pensionistico a capitalizzazione, suscettibile cioè di efficacemente giustapporsi al trattamento pensionistico di base, sostenendone la calante adeguatezza. Tra obblighi civilistici e vincoli indiretti di natura tributaria, variamente succedutisi, con il decreto legislativo n.252/2005, licenziato dal Ministro Maroni, si giunse a definire una specifica manovra quadro di “richiamo” del TFR a previdenza complementare, prevedendo anche un meccanismo di conferimento tacito da parte dei lavoratori, i quali, pur espressamente interpellati, rimanessero silenti, nulla dicendo al riguardo al proprio datore di lavoro (è la modalità di versamento ai fondi pensione assurdamente denominata dalla stampa quotidiana “del silenzio-assenso”).
Nelle more dell’applicazione della manovra da ultimo richiamata, il Governo Prodi, in sede di formulazione della legge finanziaria per l’anno 2007, stabilì che il TFR di futura maturazione (non, quindi, lo stock), non destinato a previdenza complementare, fosse parzialmente sottratto alle imprese e conferito ad un apposito fondo, amministrato dall’INPS per conto dello Stato, con utilizzazione di un apposito conto corrente aperto presso la Tesoreria dello Stato, destinato al finanziamento di interventi per la realizzazione di infrastrutture.
Avverso l’iniziale formulazione del provvedimento, avanzata dal Ministro Padoa-Schioppa, si coagulò l’opposizione delle organizzazioni sindacali (che lessero l’intervento quale sabotaggio nei riguardi della previdenza complementare) e datoriali (che lamentarono la sottrazione di risorse utilizzate come autofinanziamento, soprattutto da parte delle piccole imprese).
In sede di formulazione finale la legge n.296/2006 stabilì:
– un’anticipazione nel primo semestre del 2007 della realizzazione della manovra prevista dal decreto Maroni in tema di conferimento del TFR a previdenza complementate (conferimento espresso, diniego espresso, conferimento tacito);
– l’obbligo di versamento all’INPS, da parte delle aziende, dell’intiero TFR maturando dal 1° gennaio 2007, non destinato a previdenza complementare, fatta eccezione per le imprese con meno di 50 addetti.
Al di là del rapporto imprese/INPS per il lavoratore nulla cambiava, mantenendo egli ogni e qualsivoglia diritto al TFR nei confronti del proprio datore di lavoro, ai sensi dell’art. 2120 del codice civile.
L’INPS era chiamato a svolgere una funzione di gestore amministrativo, di interfaccia con le aziende per la riscossione mensile dei flussi di TFR e per la messa a disposizione dell’inerente provvista all’atto della maturazione dell’indennità da parte del dipendente (per cessazione del rapporto di lavoro) o per il riconoscimento di anticipazioni. Fin qui quanto stabilito dal Governo Prodi e da allora correntemente applicato.
Orbene, si può senz’altro dissentire (e chi scrive dissentì e dissente) come fa Boeri circa l’opportunità di aver istituito, a suo tempo, il Fondo di Tesoreria gestito dall’INPS per il TFR inoptato, ma tuonare oggi per un parzialmente diverso utilizzo futuro delle somme già a disposizione dello Stato appare davvero paradossale e del tutto fuori misura.
Non si riesce francamente a capire cosa vi sia di “fragoroso” – come tuona sdegnato Boeri – nel silenzio al riguardo di Confindustria (per le imprese niente muta rispetto a quanto stabilito nel 2006) o del sempre attento e professionale Presidente dell’INPS (nulla cambia nei compiti dell’Istituto). Quanto poi dire che per il singolo lavoratore (l’evocato Galbusera Erminio), già in servizio o di futura assunzione, vi sia qualcosa di nuovo … è del tutto falso.
Umori saturnini o accecamenti ideologici a parte, sarebbe utile che l’ottimo Boeri si unisse alla richiesta di attivare, quanto prima, nuove e concrete campagne di informazione dei lavoratori circa le prospettive del proprio trattamento pensionistico di base e la conseguente ineludibile necessità di utilizzare il TFR – unito, auspicabilmente, ad una contribuzione propria ed a quella del datore di lavoro, contrattualmente prevista – per alimentare un serio piano di previdenza complementare. Il miglior modo per combattere il deprecato Fondo di Tesoreria è di disseccarne i flussi di alimentazione, favorendo una massiccia destinazione del TFR maturando verso i fondi pensione.