Caro Marchionne, l’hai scampata bella, non rientrare nella partita Opel

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Caro Marchionne, l’hai scampata bella, non rientrare nella partita Opel

04 Giugno 2009

La notizia è di quelle che lasciano senza parole, un fulmine a ciel sereno. Il governo tedesco ha dichiarato ieri, che la partita Opel non è chiusa e si potrebbe riaprire, con la cordata capitanata da Magna ci sarebbero infatti solo negoziati preliminari e non vincolanti. Ci eravamo illusi che, grazie a Dio, Fiat fosse ormai fuori dai giochi, non ci faccio questo scherzo sig.ra Merkel!

Non conosco Franz Stronach, che detiene la quota di controllo di Magna, ma mi sento di ringraziarlo personalmente, anche a nome della maggioranza degli italiani. Il magnate austro-canadese, ci potrebbe infatti evitare (o per lo meno rendere meno probabili) anni di rottamazioni, mobilità lunghe e addizionali irpef a sostegno del settore auto in Italia. Intendiamoci la presumibile scelta della cordata Magna-Gaz-Sberbank per l’acquisizione di Opel è un pasticciaccio senza precedenti, figlio di questa ormai insanabile e pericolosa smania dei governanti di tutto il mondo di salvare aziende decotte: un’azienda (GM) fallita irrimediabilmente (patrimonio netto negativo a 91 miliardi di dollari, quasi sette punti di PIL italiano), viene salvata con i soldi dei contribuenti americani (30 miliardi di dollari), così come la sua controllata europea (Opel) dallo stato tedesco (1.5 miliardi di euro), nel bel mezzo della campagna elettorale, e da una cordata nella quali i soldi li mette una banca russa (Sberbank) a capitale prevalentemente pubblico.

Brividi keyniasiani e rigurgiti di economie pianificate: se questo è il tanto auspicato ritorno dello stato in economia, mi tengo il mio amato liberismo selvaggio.   

Ma veniamo a Fiat e elenchiamo alcuni fatti.

Fiat è detenuta dalle banche (per intenderci le stesse che erano pronte a mettere soldi per comprare un’azienda decotta come Opel, ma che non prestano un euro alle piccole e media aziende per i loro investimenti). Il debito è superiore alla metà del patrimonio netto ed è stato abbassato fortemente anche grazie a quella che dalle mie parti si definirebbe una “ladrata”: una penale di 1.5 miliardi di dollari che tre anni fa GM (chissà perché non parteggiavano per Fiat nell’affare Opel?) ha pagato per non aver dato seguito all’accordo di collaborazione con Fiat stessa (non è proprio il core business di una casa automobilistica).

Nel decennio che va dal 1991 al 2001, Fiat ha beneficiato di circa 10 miliardi di aiuti di stato, più o meno i dividendi distribuiti agli azionisti nello stesso periodo (!!?). Nei primi anni del nuovo secolo, non è che sia andata meglio: rottamazioni ripetute e la concessione di una mobilità lunga (7 anni) che ha richiesto decreti ad hoc e che non conosce eguali nel pianeta. Certo, le quote di mercato in questo mesi di crisi aumentano, ma non ci vuole un genio a capire che il segmento in cui prevalentemente opera Fiat, è privilegiato in tempi di crisi.

E allora Fiat che fa: approfitta di questa crisi e si lancia in una specie di caccia planetaria agli  aiuti di stato, una questua organizzata, mascherata da politiche di espansione.

Dopo aver ottenuto l’immancabile rottamazione in Italia, si lancia – come ingenuamente sintetizzato dalla stampa domestica – alla conquista della America, con l’appoggio del populista Obama, che con i soldi dell’industria dell’auto americane ci ha pagato la costosa campagna elettorale. Accordo fatto, Fiat entra, senza soldi (una specialità della casa torinese, già forgiata ai tempi dell’acquisto dell’Alfa Romeo, vero Prof. Prodi?), con il 20% (e un’opzione fino al 35%) nel capitale della “good company” di Chrysler, assieme al governo USA a quello Canadese e al sindacato Uaw. Fiat si ritrova così nel suo habitat naturale, un’ azienda di stato, quale la casa torinese ormai è, almeno da un ventennio.

Ma perché a Fiat è stato permesso di entrare nel capitale a zero euro? Perché la Fiat sarebbe in grado di portare il know how necessario per quella rivoluzione verde dell’auto, che Obama sbandiera ai quattro venti da mesi. Peccato che il know how verde di Fiat (Multiair), non certamente superiore peraltro a quanto sono in grado di fare le case giapponesi e Mercedes, sia stato studiato per le cilindrate basse tipiche della produzione Fiat, ma mai testato per le cilindrate alte e/o altissime delle gamma Chrysler e caratteristiche delle auto americane.

Ed ancora, si dice, Fiat che torna nel mercato americano: c’è la vedete voi una cinquecento nelle strade del Montana o costeggiare il Missisipi? e se la Smart batte la cinquecento a Roma, perché non dovrebbe farlo a New York?

Misteri del super manager in maglioncino blu, che imperterrito si è poi gettato alla ricerca degli aiuti di stato tedeschi con minor fortuna in quanto i tedeschi del know how (per giunta presunto) se ne infischiano e pretendono un po’ di equity, che Fiat non ha.

Smettiamola con questi nazionalismi un po’ provinciali e un po’ naif, Fiat non ha né le risorse proprie, né il portafolio prodotti, né le dimensioni minime critiche, né la diversificazione geografica sufficiente per partecipare al processo di consolidamento del settore auto nel mondo. E soprattutto non deve più sperare che le risorse provengano dalle tasche degli italiani. Fiat faccia la sua battaglia facendo conto su se stessa e il mercato dirà quale sarà il suo futuro.

Per tutto questo e per i residui operai italiani che Fiat ha ancora alle sue dipendenze, sig.ra Merkel, non ci ripensi, dia Opel a chi vuole, ma non a Fiat.