Caro Monti, liberalizzare significa ridurre il peso dello Stato in economia
23 Gennaio 2012
In coerenza con la cultura economico-politica di tanti degli esponenti di questo governo, le tanto attese ed enfatizzate liberalizzazioni si sono in realtà rivelate come un insieme di nuove ed ulteriori norme di provenienza politica che dovrebbero ‘regolare’ alcune professioni, alcune attività economiche private e, solo marginalmente, alcune attività gestite più o meno direttamente dallo stesso stato.
Poiché si tratta del primo passo (non si sa se giusto) in una direzione indubbiamente desiderabile, si potrebbe anche essere essere prudenti e pure benevoli. Ma non certamente ottimisti, soprattutto se si considera: 1) l’entusiasmo della Confindustria che già altre volte ha applaudito a pseudo liberalizzazioni che non avendo inciso sulla concorrenza non sono neanche servite a migliorare i servizi e a ridurne i costi; 2) che la riforma del mercato del lavoro e delle previdenza, che avrebbe dato uno slancio a tutte le attività produttive, resta da definire e chissà quando sarà presentata.
Senza entrare negli aspetti tecnici e nell’analisi dei singoli provvedimenti, l’impressione è che se nel breve periodo, quello che dati i tempi e le circostanze ci interessa, esse non sortiranno effetti di rilievo diversi dall’aumentare la già alta complessità normativa, nel medio-lungo periodo la loro inefficacia incrementerà sostanzialmente la sfiducia dell’opinione pubblica nei confronti del mercato e della concorrenza. Quasi che si sia voluto ancora una volta dimostrare che, se la crescita economica non si risveglia, la responsabilità non è dello stato premuroso ed illuminato che ha benevolmente elaborato nuove regole, ma dei taxisti, farmacisti, notai, etc.
In breve, quello di cui ci sarebbe stato bisogno, non è di nuove regole per tutte quelle categorie, ma di ‘liberalizzare’, ossia ridurre, l’imprevedibile complessità del rapporto tra individui ed amministrazioni pubbliche che è causa di perdita di tempo per chi intende intraprendere e sviluppare un’attività imprenditoriale, di spese difficilmente quantificabili, di corruzione, di rendite parassitarie, e di tanti altri mali. Quel di cui abbiamo veramente bisogno è quindi di ridurre la complessità normativa e magari di eliminare i contenziosi legati al famigerato Titolo V della nostra Costituzione e di semplificare i ricorsi amministrativi di tutti i tipi ed i procedimenti civili.
Il rilancio della crescita non si gioca su nuove regole, che per quanto migliori delle precedenti, sono pur sempre oneri indiretti per l’attività imprenditoriale e per quanti devono entrare in contatto con la pubblica amministrazione o si trovano a dover difendere i propri diritti, ma di ridurre il tempo tra un’idea imprenditoriale e la sua realizzazione. Un tempo sul quale mi sembra che con queste nuove liberalizzazioni, lo stato abbia invece riaffermato il proprio monopolio. E i monopoli, si sa, son sempre fonte e causa di inefficienze.