Caso Renzi-De Benedetti, per Augello “è più grave della querelle Etruria”. Ma i media restano muti
13 Gennaio 2018
di Carlo Mascio
Silenzio. Tutto tace. Il caso Renzi-De Benedetti per i media nazionali si è chiuso prima ancora che iniziasse. Anzi sembra proprio non esserci mai stato. Giornaloni e Tiggì fanno finta di nulla. Solo il Fatto e pochi altri continuano una battaglia ignorata da tutti, tanto che Travaglio a Otto e mezzo da Lilli Gruber ha volutamente tirato fuori l’argomento pur non essendo il tema della trasmissione. Insomma, occhi bendati e bocche cucite per tutti. Esattamente come quelle del Pd dove il tema, a parte le solite dichiarazioni di rito, è e rimane un tabù. In questo caso. Perché osiamo solo immaginare cosa sarebbe successo se al centro del caso ci fosse Silvio Berlusconi. Si sarebbe come minimo gridato allo scandalo. Invece ora no.
Eppure il caso in sé e l’accusa di insider trading mossa nei confronti di De Benedetti è grave. Così come debole è la tesi con cui Renzi cerca di far passare sottobanco la questione. E a dimostrarlo ci ha pensato il solito Andrea Augello, senatore di Idea, sempre più vero (e quasi unico) mattatore sul tema, che ha presentato un’interrogazione parlamentare al ministro Padoan con alcuni “punti deboli”, “della versione dei fatti fornita dai due protagonisti della telefonata del 16 gennaio 2015” (De Bendetti – Bolengo) dove in primis viene smontato il mantra che Renzi va ripetendo a quelli (pochissimi, per la verità) che chiedono “lumi” sull’accusa all’ingegnere, ovvero che “tutti sapevano della riforma”, citando anche una agenzia Ansa di alcuni giorni precedenti al colloquio con De Benedetti. L’agenzia c’è. Così come altre notizie sul tema riportate da diverse testate. Peccato però che nessuna contiene informazioni precise come quelle che De Bendetti sembra fornire al suo broker. “Il passa..passa” di De Benedetti, come già abbiamo avuto modo di dire, difficilmente fa riferimento ad un provvedimento di iniziativa parlamentare che, si sa, non si può approvare in tempi brevi, come quelli a cui allude l’ingegnere. Quanto invece ad un decreto. E infatti la riforma è passata proprio per decreto. “Non si capisce che titolo avesse De Benedetti di interloquire con il premier sulle Popolari, alla vigilia dell’approvazione del decreto. Non ci sarebbe stata nessuna speculazione in Borsa se al posto del decreto ci fosse stato un disegno di legge” specifica Augello.
In più, il fatto che un’informazione del genere arrivi da De Bendetti e non dal suo broker Bolengo (uno che di flussi e quotazioni se ne sa più di qualcosa) lascia intendere che quella in possesso dell’ingegnere sia una notizia non proprio nota a tutti. Anche perché se così fosse, come d’altronde sostiene Renzi, non si capisce come mai non ci sia stata la corsa all’acquisto delle quotazioni delle popolari. E che la plusvalenza incassata da De Benedetti sia così alta (600mila euro). In genere, anche quando una notizia è solamente ventilata, le quotazioni oscillano e i guadagni non dovrebbero essere elevatissimi.
Inoltre, come si legge nell’interrogazione, il fatto di considerare “l’investimento di 5 milioni di Euro da parte di una società del peso della Roved” come “ ben poca cosa rispetto alla leva potenziale di centinaia di milioni di Euro che il gruppo avrebbe potuto impiegare, ove avesse considerata certa l’informazione riservata e quindi altrettanto certa la plusvalenza da ricavarne”, resta, secondo Augello, “l’osservazione più inconsistente sul piano logico: prima di tutto per una questione legata ai tempi disponibili per realizzare l’operazione e trovare la relativa copertura, visto che la telefonata avviene a mercati già aperti il venerdì del 16 Gennaio e deve essere conclusa entro le 17,30, quindi in pochissime ore di lavoro. Secondariamente perché almeno il dottor Bolengo e il suo trader non avrebbero potuto che sconsigliare un investimento superiore, per evitare di attirare l’attenzione dell’organo di vigilanza, anche e soprattutto in considerazione della telefonata che si era svolta su una linea soggetta a registrazione”.
“Mentre andavano in fumo miliardi di euro di padri di famiglia e pensionati che avevano investito nelle banche popolari, c’era qualcuno che avendo una corsia preferenziale con Renzi ne traeva vantaggio” tuona il senatore di Idea. Ragion per cui, “se questa storia finirà con l’archiviazione di Consob e Procura, vuol dire che l’Italia non ha gli anticorpi per evitare che certe cose ricapitino”. Ecco perché, conclude Augello,“se il caso Boschi-Etruria è un capolavoro di ineleganza questo invece è molto più grave”.