C’è anche la Russia al tavolo fra Lula, Erdogan e Ahmadinejad

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C’è anche la Russia al tavolo fra Lula, Erdogan e Ahmadinejad

18 Maggio 2010

La definizione di una nuova presenza russa in Medioriente non significa solo la ricostruzione di un’influenza diretta, legata ad una reale presenza sul territorio. La strategia russa prova a trasformare il vincolo di una debole presenza territoriale nel vantaggio di un’influenza indiretta – allo stesso modo in cui un catalizzatore induce determinate reazioni senza prendervi parte direttamente. E’ quello che succede nella complessa trattativa sul programma nucleare iraniano.

L’intesa dell’ultim’ora prevede che l’Iran trasferisca proprio alla Turchia 1200 kg di uranio LEU, cioè a basso livello di arricchimento, in modo che Ankara entro un anno riconsegni tale quantitativo una volta arricchito. In cambio Teheran riceverà subito 120 kg di uranio già arricchito da impiegare a scopo civile. Così, con il coinvolgimento attivo del Brasile, che insieme alla Turchia è membro non permanente del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, la teocrazia iraniana spera di aver imboccato la scappatoia dal quarto round di sanzioni economiche fortemente volute dagli Usa.

Ma nell’intesa non è prevista alcuna rinuncia al processo di arricchimento dell’uranio sul suolo iraniano. Insomma, la buona volontà della cooperazione economica va di pari passo alla determinazione nel continuare sulla via dell’energia nucleare "made in Iran". Turchia, Siria e ora l’Iran – la Russia ambisce a porsi come mediatore-fornitore di nucleare, in un’ambigua posizione tra i fronti globali. La Turchia produrrà energia nucleare sotto l’egida della Russia. Mercoledì 12 maggio Mosca e Istanbul hanno siglato un accordo in base al quale Rosatom, l’agenzia governativa russa che monopolizza il nucleare dentro e fuori i confini nazionali,  si impegna a realizzare quattro reattori lungo le coste sudorientali turche. Per un investimento totale di venti milioni di dollari, Rosatom prevede di completare il primo reattore entro sette anni, con gli altri tre pronti ognuno in un anno.

Oltre al consistente posizionamento della Russia in una Turchia non più bastione americano in Medioriente, i termini dell’accordo tra il presidente russo Medvedev e il premier turco Erdogan affidano alla Russia anche la proprietà dei reattori, e dei profitti generati, per i prossimi quindici anni. Si realizza così l’antico disegno zarista di una penetrazione russa in Turchia per accedere al Mediterraneo. Ma ora l’ingresso della Russia raggiunge un altro punto. 

Per il Cremlino l’energia dell’atomo non è solo un capitale economico, perché sprigiona anche un’energia geopolitica. Infatti prima dello storico accordo con la Turchia, Medvedev celebrava la prima visita ufficiale di un capo di stato russo in Siria. Anche in questo caso il tema dell’incontro è stato l’energia, dal gas al petrolio fino all’ipotesi di costruire impianti nucleari per scopi civili. Ma la valenza politica resta predominante. Mosca e Damasco non lesinano critiche aperte al deterioramento del processo di pace tra Israele e palestinesi, soprattutto nei rapporti con Hamas. Assad e Medvedev imputano questo stallo al cordone ombelicale con Israele che soffocherebbe la politica estera americana. E’ la solita retorica antiamericana nuovamente scattata a Damasco dopo che Obama, lo scorso 3 maggio, ha rinnovato le sanzioni contro i siriani. Infatti la Siria è nell’occhio del ciclone perché sarebbe in procinto di trasferire batterie di missili russi modello Scud proprio ad Hezbollah – in una manovra denunciata un paio di settimane fa da un quotidiano del Kuwait e prontamente denunciata da Israele.  

Adesso l’incognita è capire se il ritorno della Russia tra i grandi protagonisti del Medioriente possa allentare la tensione oppure costituisca un fattore di ulteriore complicazione. Al momento Mosca intende svolgere un ruolo di cuscinetto tra Siria e Iran, da una parte, e Usa-Israele dall’altra usando le sue principali leve geopolitiche: le sue risorse energetiche e la tecnologia nucleare. Ma questa espansione russa non è alimentato da una solida visione di sistema che faccia da contraltare alla determinazione della leadership israeliana e al persistere dell’influenza americana. D’altra parte la Russia corre il rischio stesso di essere usata come scudo politico e arsenale militare da parte di governi, da Damasco a Teheran e a Beirut, difficilmente disposti a riconoscere un’influenza russa. Il Medioriente non intende passare dall’egemonia americana a quella russa.

Prima dell’accordo con la Turchia e della visita in Siria, Mosca ha celebrato uno storico anniversario: il 7 maggio era il 65esimo anniversario della vittoria russa sul nazismo. Però le aspettative delle grandi parate di nostalgia stalinista sono state deluse dall’inaspettato giudizio di Medvedev per il quale i crimini del dittatore non possono essere dimenticati. Ecco, sia la dura posizione del presidente che l’implicita commemorazione di Stalin sono i due volti di una Russia incastrata tra glorie del passato e ambiguità del presente.

Questa ricerca di proiezione internazionale senza un’ideologia o una grande strategia è ben visibile in Medioriente. Da una parte Mosca invia l’ammiraglia della sua flotta, la “Pietro il Grande”, nel porto siriano di Tartus. Dall’altra tentenna sul progetto di creare una base navale proprio a Tartus, con l’installazione di sistemi di difesa aerea che, oltre alla base stessa, proteggerebbero la parte più strategica del territorio siriano e anche il Libano. Ma questo piano, ormai vecchio di anni, resta un’opzione in balia degli eventi. La Russia è ritornata in Medioriente. Ma senza un piano.