C’è più di un modo per uscire dal Cul de sac

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C’è più di un modo per uscire dal Cul de sac

C’è più di un modo per uscire dal Cul de sac

29 Maggio 2009

Con la libertà consentita da una rubrica che è, in primo luogo,  uno spazio ludico, messo benevolmente a disposizione di  un non addetto ai lavori del comparto eno-gastronomico, debbo subito confessare che ogni volta che varco la soglia del “Cul de sac” , ormai storico – ha superato i sei lustri di vita –  locale della Capitale, prospiciente la statua di Pasquino, mi viene in mente una sgangherata gag goliardica, che molti ricorderanno: si coglie l’occasione dell’aver qualcuno qualificato, conversando, una qualche situazione come un cul de sac,  per porgli, a bruciapelo, la domanda: “Tu sai come si esce da un cul de sac?” e nel silenzio stupito del malcapitato interlocutore, con fare saccente, si risponde: “Semplice!  Ci vuole un sac de cul …..”, godendosi, quindi, le risatacce degli astanti. 

In effetti occorre davvero un po’ di gaglioffo buon umore mentale per accomodarsi  (spesso dopo un’attesa non breve) in questo ristorante, che, in assoluta coerenza con la denominazione, è un vero e proprio budello, peraltro nobilmente fasciato da bacheche alte sino al soffitto, stracariche di uno stimolante trionfo di bottiglie di vino. C’è di più: gli arredi,  panche e tavolini (assurdamente fissati tra loro, come i vecchi banchi di scuola), sono di una rara scomodità e del tutto ostili nei riguardi dell’avventore (specialmente se tende all’extra size). 

Ricordi di battutacce a parte, l’oggettiva disagevolezza ambientale e arredativa del locale (oltretutto collocato in zona ad altissima densità turistica) trova tuttavia ampia compensazione nella piacevolezza dei molti piatti in menù e, soprattutto, nella straordinaria ricchezza dell’offerta enologica ( la carta dei vini, ripartita in ordine alfabetico territoriale, con equiparazione di regioni italiane e paesi stranieri, vanta l’enormità di oltre 1500 etichette ed è, con ogni probabilità, la più estesa di Roma ). Quest’ultima caratteristica trova spiegazione nelle origini del “Cul de sac”, il quale, in effetti, nacque come mescita (c’è ancora il bel bancone di marmo),  quella che oggi è invalso l’uso esterofilo di denominare wine bar, giudicandosi ormai troppo modesta la vecchia denominazione di osteria.

La carta dei vini, in effetti, è la vera attrazione del locale, giacchè, anche in virtù dei per lo più modesti ricarichi praticati, si può qui invertire l’abituale ordine dei fattori, stabilendo, innanzitutto, una strategia del bere ed inserendo, quindi, su di essa la scelta dei cibi da abbinarvi. In quest’ottica, il “Cul de sac” andrebbe sempre frequentato in affiatata comitiva di spiccato estro bacchico, così da poter dare libero sfogo alla tentazione di far saltare un buon numero di turaccioli, senza correre il rischio di finire la serata ebbri sotto i tavoli.

Come dicevo, in assoluta controtendenza rispetto al trend affatto prevalente delle enoteche, al “Cul de sac” si può anche mangiare davvero bene, assaporando in primo luogo piatti della cucina romana, ma non solo, sempre freschissimi e realizzati con buone materie prime.

Tra gli antipasti, piatti di affettati e di formaggi a parte, di per sé ottimi e con presenze davvero non consuete, ma scontati in un posto simile, non si debbono assolutamente tralasciare né i tanti patè proposti, né i goduriosi filetti di aringa. Tra i primi piatti, che variano con il variare delle stagioni, la pasta al pesto casalingo, la classica amatriciana, la pasta alla puttanesca, la lasagna fatta in casa, gli strozzapreti alla moda sicula, i pomodori al riso, la crema di lenticchie rosse o di fave con verdura, la zuppa di cipolle sono confezionati con cura e non deludono mai. Amplissima la scelta dei secondi – anch’essi variati stagionalmente – arricchita da molti piatti vegetali (consigliabili le verdure ripiene, prime fra tutte le zucchine, il tortino di carciofi, lo sformato di spinaci, le melanzane alla calabra). Si può degustare una ragguardevole – e ben digeribile – coda alla vaccinara, dei tenerissimi involtini alla romana, la trippa, le polpette al vino con purè, il localissimo pollo ai peperoni, il baccalà in umido con patate o mantecato (quest’ultimo, però, un po’ troppo cremoso), le escargots alla bourguignonne, la lingua in salsa alla senape, il roastbeef in salsa Esterazy, la faraona al grano. Molto buono il pane casareccio.

Il capitolo formaggi, a parte quanto eventualmente già praticato tra gli antipasti, per la gamma delle oltre trenta proposte, tanto nazionali quanto transalpine, consente la rara opportunità, avuto riguardo alla Capitale, di dare concreta ed esaustiva applicazione al principio, in altra circostanza ricordato, secondo cui, a tavola, la bocca non possa quietarsi “sino a che non sappia di vacca”.

Benissimo altresì per quanto concerne i desserts, tra cui meritano menzione invernale la meringata calda di castagne e, in tutte le stagioni, massime l’estate, lo zabaione gelato. Gli appassionati del cioccolato potranno trarre metafisiche soddisfazioni da un capitolo del menù ad essi espressamente riservato.

E’, ovviamente, ricca anche la proposta di super alcolici.

Il servizio è accettabile, con qualche approssimazione, solo in parte giustificata dall’incalzante avvicendarsi degli avventori.

I prezzi sono mediamente contenuti, ma l’esborso finale è fortemente condizionato dalle scelte enologiche compiute. In ogni caso il rapporto qualità/prezzo è ottimo.

Cul de sac – Roma, Piazza Pasquino, 73 – telefono: 06/68801094 – sempre aperto