C’è un mistero condiviso da Francia e Marocco che agita Sarkozy

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C’è un mistero condiviso da Francia e Marocco che agita Sarkozy

15 Ottobre 2010

Sono giorni tesi a Boulevard Mortier, nel ventesimo arrondissement parigino. Il DGSE (Direzione generale per la sicurezza esterna), in collaborazione con gli altri servizi d’informazione, cerca di capire chi stia dietro gli allarmi che un giorno sì e l’altro pure fanno sgombrare stazioni, monumenti, santuari, piazze del Paese di Sarkozy.

Il ricordo della misteriosa sigla AZF, operativa in Francia con minacce ripetute d’attentati negli anni scorsi, fa meditare gli agenti che se ne occuparono direttamente, anche se questa volta sembra che il pericolo si nasconda dietro centrali del terrore ancora più impalpabili. Come se non bastasse, ad aumentare il nervosismo è rispuntato uno storico affaire che da decenni accende la luce rossa nei rapporti col Marocco. Parliamo dell’insoluto caso della sparizione di Mehdi Ben Barka, il politico di Rabat tolto dalla circolazione nel 1965 mentre stava per incontrarsi nella capitale transalpina col cineasta Georges Franju.

Una successiva inchiesta giudiziaria stabilì che l’attivista africano fu trasportato in una casa non lontana da Parigi, per essere torturato fino alla morte da militari marocchini e mercenari francesi, secondo le direttive dell’allora ministro degli Interni del regno alauì Oufkir, poi condannato all’ergastolo.

Col passare del tempo alcuni testimoni hanno fornito diverse versioni dell’accaduto; per Ahmed Bujari, un personaggio legato alle forze di sicurezza del Marocco, il corpo di Ben Barka rientrò in patria per essere sciolto in una vasca d’acido; Lucien Blanc, poliziotto in servizio all’epoca con alcuni colleghi implicati nella vicenda, rese pubbliche alcune intercettazioni che dimostrarono la conoscenza da parte dell’intelligence francese del piano mortale.

E’ di questi giorni la notizia che nei mesi estivi la sede della Piscina, come viene chiamato il palazzo occupato dalla DGSE, ha subito una perquisizione su ordine del giudice Patrick Ramael, che, approfittando della legge del 2009 sulla protezione dei segreti della Difesa, sta cercando di fare chiarezza su un evento al quale i decenni non sembrano aver tolto implicazioni delicate ad ogni livello, con la famiglia della vittima che non si è mai stancata di denunciare presunte coperture ed omissioni da parte dei due Paesi coinvolti.

Ventitre dossier sequestrati sono ora a disposizione della CCSDN, la commissione consultiva adibita ad occuparsi di queste materie. Il governo potrebbe quindi decidere presto se procedere con la declassificazione, affrontando il rischio di dover affrontare con gli occhi di oggi una verità scomoda su un misfatto d’un’altra era politica.