C’era da aspettarselo che L’Italia dei (dis)Valori parlasse di deriva autoritaria

LOCCIDENTALE_800x1600
LOCCIDENTALE_800x1600
Dona oggi

Fai una donazione!

Gli articoli dell’Occidentale sono liberi perché vogliamo che li leggano tante persone. Ma scriverli, verificarli e pubblicarli ha un costo. Se hai a cuore un’informazione approfondita e accurata puoi darci una mano facendo una libera donazione da sostenitore online. Più saranno le donazioni verso l’Occidentale, più reportage e commenti potremo pubblicare.

C’era da aspettarselo che L’Italia dei (dis)Valori parlasse di deriva autoritaria

31 Marzo 2009

Il programma economico che Silvio Berlusconi ha enunciato per il Pdl si può riassumere nella sua frase “una economia sociale di mercato, in cui la libertà di mercato si accompagna sempre alla solidarietà e alla promozione e tutela della persona umana”.

Non si tratta, come qualcuno ha voluto affermare, di una rinuncia ai principi di economia libera che erano stati propugnati in precedenza da Forza Italia, ma viceversa di una impostazione più precisa di tali principi di fronte a due possibili tipi di modelli di economia liberale, quelli di capitalismo liberista e quelli di liberalesimo con interventi pubblici correttivi. Nei modelli di capitalismo liberista, che alcuni presentano come i veri ed unici modelli di economia libera, ma sono al fondo illiberali, il mercato si auto regola, lo stato arretra essendo considerato quasi un nemico del mercato e della libertà individuale ed emergono, nella guida delle sorti degli stati e dell’ordine mondiale, i poteri dei grandi gruppi economici e finanziari.

Nel modello di economia sociale di mercato, nelle varianti neo liberale o liberal socialista o di liberalesimo cristiano, al centro del sistema economico non c’è un qualsiasi mercato ma ci sono il mercato di concorrenza e la persona umana. Lo stato ha un compito fondamentale nel porre le regole del gioco entro cui si svolge il mercato. E c’è un sistema sociale pubblico conforme al sistema di concorrenza, cioè basato sul pluralismo, sulla responsabilità personale e sul rispetto della persona. Il modello di economia sociale di mercato presuppone il pluralismo anche nelle istituzioni pubbliche ed è perciò federalista. Ma ha bisogno di uno stato con leve robuste per tenere insieme le istituzioni pluraliste. Esso, infatti, si articola secondo il principio di sussidiarietà per cui prima vengono la persona, la famiglia, il diritto di proprietà privata e la solidarietà sociale individuale e delle associazioni libere poi i governi locali e regionali e sopra di loro lo stato, come autorità che assicura l’unità del tutto sulla base di una costituzione che pone le grandi regole.

Questa teoria , che si è sviluppata nell’Europa continentale dagli anni ’40 in poi  ad opera di economisti come Walter Eucken, Wilhelm Ropke, Alfred Muller Armack, Luigi Einaudi e, successivamente, più modestamente, in Italia da chi scrive nel suo “Manuale di Politica Economica, dalla caduta del muro di Berlino in poi, è stata offuscata da una ondata di neoliberismo iper capitalistico in cui ha sempre più dominato il capitale finanziario.

Anche le sinistre sono state prese dalle sirene di questo nuovo modello con l’alleanza, che è sotto gli occhi di tutti, fra grandi banche e partiti di sinistra. Poiché le banche non operano mediante lavoratori in tuta, ma solo con collettivi bianchi, ad esse non è costato molto sostenere gli organismi sindacali dei partiti di sinistra e le politiche di alto salario, come contropartita per la protezione dei propri interessi in particolare la lucrosa gestione delle privatizzazioni e la deregolamentazione bancaria. Le sinistre dal liberismo del capitalismo bancario hanno avuto la “moneta facile ” per il credito al consumo, con i mutui immobiliari per il cento per cento del valore degli immobili, le carte di credito, le vendite a rate. E i beni a basso costo della grande distribuzione rifornita di merce asiatica in regime di concorrenza sleale a causa delle manipolazioni monetarie e delle sovvenzioni al commercio estero, hanno completato il matrimonio fra grande capitale e  nuova sinistra “liberal”. Così si è potuto scrivere che il liberismo “ di sinistra”. Il modello di liberismo americano, con i colossi bancari e industriali e l’espansione del credito senza basi nel risparmio è palesemente fallito. Ora la sinistra americana liberal adotta forme di statalismo ibrido per salvare le banche, le grandi assicurazioni e le grandi imprese automobilistiche.

E’ fallito il modello dei laburisti inglesi, basato sulle più spinte liberalizzazioni, accompagnate da un esteso stato del benessere assistenzialista e dalla iper espansione del credito al consumo, come metodo per generare la crescita economica e la prosperità dei lavoratori. Sono falliti i modelli anglosassoni di economia di mercato. Non si può dire altrettanto del modello europeo di economia sociale di mercato, che è alla base del miracolo economico tedesco (Ludwig Ehard che ne fu protagonista era uno degli economisti che avevano elaborato questa teoria dell’orine economico) e che ha improntato elementi importanti del Trattato di Roma dell’Unione Europea e il successivo Trattato di Maastricht. Berlusconi facendo riferimento a questi principi si mostra coerente con la scelta del Pdl di appartenere al Partito Popolare Europeo, che è l’erede principale del retaggio ehrardiano. Del resto, occorre tenere presente che il Pdl nasce dalla fusione di due partiti, "Forza Italia” e “Alleanza Nazionale” non è un “Forza Italia” ampliato.

Ora, in campo economico, la teoria dell’economia sociale di mercato, nelle sue diverse formulazioni, è un buon denominatore comune fra Forza Italia e AN, dato che questa non ha mai sostenuto una impostazione liberista pura. Nella sua tradizione l’economia del mercato si armonizza con i compiti dello stato di tutela dell’ordine e della sicurezza e di intervento sociale. Il modello economico che così viene a costruirsi per il PDL è il solo capace di realizzare una "alternativa politica" che sia insieme liberale e popolare. E quindi è il solo capace di aggregare una maggioranza di cittadini, di diverse culture e condizioni sociali, di diverse regioni, con diverse aspirazioni e diverse motivazioni in fatto di fede religiosa, unite dai valori etici comuni che ho richiamato.

Silvio Berlusconi ha posto l’accento sulla necessità di modificare la Costituzione allo scopo di dare maggior potere al presidente del consiglio e quindi al governo, che esso dirige. Gli esponenti dell’Italia dei valori affermano che questo proposito di Berlusconi implica una “deriva autoritaria”. Ciò è sbagliato. Infatti, l’ordinamento liberale presuppone, in primo luogo i principi di legge ed ordine. E per attuare questi occorre un governo efficiente alla testa di amministrazioni pubbliche efficienti. Per una economia di mercato ben funzionante occorre che il presidente del consiglio abbia l’autorità di governare e di promuovere, in modo rapido, i provvedimenti aventi forza di legge. Dunque bisogna che il governo possa emanare i decreti legge, apprezzandone liberamente la necessità e l’urgenza.

Occorre che i regolamenti parlamentari impediscano i dibattiti ostruzionistici e consentano una produzione rapida delle leggi. Occorre che lo stato possa agire con procedure rapide nelle grandi opere senza i veti dilatori delle comunità locali e che possa sostituirsi alle Regioni e agli enti locali nei casi di inerzia o abuso nella gestione delle attività di loro competenza. Da quelle riguardanti la raccolta e smaltimento di rifiuti, alla installazione di rigassificatori, alla spesa dei fondi comunitari, alle politiche di deregolamentazione del diritto a ampliare le case e le officine. Lo stato che assicura all’impresa le infrastrutture, che dà ai cittadini la sicurezza personale, che impedisce gli abusi delle banche, che interviene nella crisi, con interventi conformi al mercato  ha bisogno di efficienza. Perciò gli esponenti del partito dell’Italia dei valori che dipingono i propositi di Berlusconi come deriva autoritaria si possano definire come fautori di una italietta dei disvalori.