C’erano una volta un re e una regina…
31 Gennaio 2010
Abituati a leggere sui rotocalchi delle gesta mondane di principi e re, fatichiamo a ricordare il ruolo politico e simbolico rivestito per secoli dalle monarchie. Eppure, è solo da qualche decennio che l’istituto monarchico ha finito davvero per essere messo ai margini della vita politica, almeno in Europa. Ad analizzare la lunga transizione, durata almeno un secolo, che ha portato i sovrani a cedere sempre più potere e prerogative ai rappresentanti della società civile è un recente volume, Sovrani a metà. Monarchia e legittimazione in Europa tra Otto e Novecento (Rubbettino, euro 15, pp. 246) curato da Giulia Guazzaloca, ricercatrice di storia contemporanea all’Università di Bologna. Il libro, che raccoglie gli atti di un convegno internazionale svoltosi presso la Facoltà di Scienze politiche dell’Alma Mater bolognese, ha il pregio di confrontare diverse storie nazionali, dall’Inghilterra alla Francia, dalla Germania all’Austria-Ungheria, dall’Italia alla Russia fino alla Spagna, tratteggiate da alcuni tra i più noti studiosi di storia politica.
Il passaggio da una legittimazione di tipo divino e da un potere solitamente definito come assoluto ad una legittimazione costituzionale e a prerogative sempre più limitate non è stato certo indolore e ha conosciuto fasi e velocità diverse quasi per ogni Stato preso in considerazione. All’origine della trasformazione va posta la Rivoluzione francese la quale sancì con la “Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino” che la sovranità spettasse alla nazione, scardinando perciò non soltanto la legittimazione dinastica e tradizionale delle monarchie, ma affermando anche che il sovrano dovesse essere nulla più di un “funzionario di governo”. La Révolution dell’89 ribadì insomma quel che la Gloriosa rivoluzione aveva determinato un secolo prima in Inghilterra: il sovrano non sarebbe più stato legibus solutus ma, semmai, un King in Parliament sottoposto pertanto a leggi che ne regolassero il potere.
La dirompente affermazione europea del carismatico Napoleone e la successiva età della Restaurazione che riportò sul trono le dinastie regnanti scacciate dall’Imperatore non riuscirono a far altro che ritardare la richiesta di rappresentanza e di libertà proveniente dalla società civile, la quale si riteneva ormai depositaria di una sovranità precedentemente nelle mani dei monarchi. Tali richieste vennero codificate da giuristi e filosofi che si proposero di ridisegnare il ruolo del sovrano tracciando i limiti del loro potere all’interno di articoli costituzionali. Tuttavia le carte costituzionali, come ha mostrato Schiera nel suo saggio, non furono necessariamente uno strumento contro i monarchi: semmai, nella prima metà dell’Ottocento, essi stessi furono in grado di farsi promotori delle costituzioni attribuendosi perciò il ruolo di artefici del cambiamento e, soprattutto, legittimandosi ex novo quali garanti delle costituzioni e rappresentanti dell’intero corpo della nazione. Non tutti i sovrani furono però disposti a concedere le carte: in Prussia, in Russia, nell’Impero asburgico vennero procrastinate le riforme politiche a vantaggio invece di ampie riforme economiche e sociali. Tanto gli Asburgo quanto i Romanov e gli Hohenzollern, pur riuscendo temporaneamente a dribblare la richiesta di parlamentarizzazione e di democratizzazione proveniente dal basso, dovevano cimentarsi col consenso dei loro sudditi, inaugurando perciò una stagione che avrebbe fatto ricordare le riforme del settecentesco assolutismo illuminato.
Di fatto, anche laddove il potere monarchico coesisteva con le costituzioni, i sovrani svolgevano, o aspiravano ad avere, compiti diversi o superiori a quelli pensati per loro dai costituzionalisti: emblematico il caso italiano in cui i Savoia mantennero per sé la gestione degli affari esteri e della politica militare. La conservazione di tali prerogative, che corrispondeva ad un’incompleta parlamentarizzazione dell’Italia post-unitaria, aveva tuttavia una sua logica precisa: quella, cioè, di mantenere al di fuori della mischia parlamentare e degli interessi di parte quegli ambiti ritenuti di importanza nazionale e strategica. In effetti, con l’affermazione della “politica dei partiti”, alla monarchia fu assegnato un nuovo ruolo: quello di garante dell’interesse generale (stabilito giustappunto nelle costituzioni) e di mediatore, perciò, dei conflitti istituzionali e politici. Divenuto il “potere neutro” per eccellenza, il sovrano, in particolar modo in Gran Bretagna, doveva contribuire al superamento delle crisi facendosi incarnazione stessa della Costituzione e dei valori nazionali.
La Grande guerra rappresentò un punto di svolta fondamentale anche per l’istituto monarchico: alcune tra le principali monarchie europee non ressero alla terribile prova. In un sol colpo scomparvero l’Impero austro-ungarico e quello russo, l’Impero germanico e quello ottomano, schiacciati da errori militari, inadempienze politiche e da una legittimazione popolare sempre più debole. In Italia, invece, i Savoia uscirono rafforzati dal conflitto accreditandosi come gli artefici della vittoria anche grazie all’immagine di Vittorio Emanuele III “re soldato”. La Seconda guerra mondiale fu l’ennesimo mortale fendente inferto ai danni delle monarchie: se quella spagnola era già crollata con l’ascesa di Franco, l’ora fatale toccò ai Savoia. Secondo Pombeni, la dinastia regnante italiana non fu in grado di guadagnarsi una nuova legittimazione a seguito della caduta di Mussolini. In particolare, la fuga dell’8 settembre alla volta di Pescara che lasciò l’Italia senza un capo e senza ordini segnò la rottura di quel patto che i sovrani avevano stipulato con la nazione, totalmente abbandonata a se stessa.
Sebbene la monarchia continui a sopravvivere in Europa in non pochi paesi, il volume si arresta volutamente alla Seconda guerra mondiale: infatti, spiega Guazzaloca, dopo la catastrofe del ’39-’45 i sovrani “si sono trovati completamente esclusi dalle funzioni di governo e dalla sfera dell’influenza politica”.