Cercasi vice disperatamente

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Cercasi vice disperatamente

30 Maggio 2008

Sotto traccia si muovono gli staff: ci sono colloqui e analisi dei flussi elettorali. Stato per stato. John McCain può far prima di Barack Obama, perché è partito già da qualche mese: è la ricerca del vice, che a volte nella storia americana è stata un dettaglio mentre adesso diventa quasi fondamentale. E’ per questo che il candidato repubblicano non ha ancora scelto: bisogna ponderare, studiare, cercare la persona giusta. Il running mate, il compagno di corsa, il gregario che tira la volata o che allunga la borraccia quando il capitano è in difficoltà. È la spalla, il braccio, le gambe. È l’altra metà: può aprire le porte di uno stato dove il presidente è dato per spacciato, può fare il gioco sporco che danneggia l’avversario, può recuperare una situazione difficile. In questa campagna elettorale i vice saranno importanti perché quelli che aspirano a entrare alla Casa Bianca sono più anomali del solito. Sul versante repubblicano, McCain deve vincere le resistenze di chi lo considera troppo vecchio e troppo poco ortodosso, tanto da rischiare di perdere alcuni stati del Sud. Per i democratici conta il fattore razza, ovviamente. E conta anche l’inesperienza di Obama. 

Gli staff lavorano, spulciano curriculum e trattano sotto banco. Il giorno dell’annuncio sarà quello della convention, ma i giochi saranno fatti prima. Nel 2004, lo sfidante democratico John Kerry scelse uno degli avversari alle primarie democratiche: prese John Edwards come suo potenziale vice. Perché era il suo opposto, perché veniva dal basso e dal Sud, mentre lui era un ricco e viziato borghese del New England. Trombato allora, Edwards ha già annunciato che non accetterebbe mai l’eventuale offerta di Obama. Barack non ci aveva neanche pensato, così come non ha mai pensato a Hillary come vice. Per rispetto e per divergenze politiche. E’ il sogno di parte del partito democratico, il cosiddetto dream ticket: un afroamericano e una donna insieme verso la Casa Bianca. E però l’accoppiata Clinton-Obama è quasi un miraggio: tutti e due senatori, tutti e due cresciuti nella stessa America. Un Paese che in oltre due secoli non ha mai eletto né una signora né un nero è difficile che riuscirà eleggerli contemporaneamente. Comunque se mai dovesse arrivare l’accoppiata Obama-Clinton sarà una scelta di partito e non del candidato presidente. Se dovesse scegliere una donna, Barack preferirebbe Kathleen Sebelius, governatrice del Kansas. Popolare, tosta, preparata, in grado di prendere molti voti degli elettori repubblicani negli stati del Midwest. Altro nome di potenziale vice donna è quello di Claire McCaskill, senatrice del Missouri. Stessa ragione, stesso pedigree. 

Nel mazzo delle carte di Obama ci sono molte altre possibilità: gli uomini dello staff del senatore nero hanno testato anche le potenzialità di Jim Webb, senatore dal passato repubblicano (reaganiano) e dal presente da blue dog, ovvero democratico conservatore. Webb è l’uomo che ha tolto un seggio da sempre blindato per i repubblicani al Senato, uno dei due della Virginia. Con lui, così come con qualche altro personaggio, Obama potrebbe andare a caccia dei voti negli stati più combattuti. E uno degli altri personaggi è Ted Strickland, governatore dell’Ohio, ovvero lo stato che quattro anni fa fu decisivo per la vittoria di Bush e che è considerato anche stavolta molto in bilico. 

John McCain ha il problema inverso. Deve cercare un vice forte, fortissimo negli stati molto repubblicani. Perché molti dicono che il candidato presidente ha grande influenza nelle zone “indecise”, ma rischia di perdere consensi nei distretti più conservatori. L’autocandidatura di Mike Huckabee a numero due di McCain va in questa direzione: con il pastore dell’Arkansas, il senatore dell’Arizona. Avrebbe i voti che gli servono. Nella short list di McCain salgono le quotazioni del giovane governatore repubblicano della Louisiana, Bobby Jindal, figlio di immigrati del Punjab indiano. Bill Kristol, opinionista conservatore del New York Times, ha affermato di aver ricevuto da quattro fonti diverse all’interno dello staff di McCain l’indicazione che Jindal è tra i principali candidati al posto di running mate. Il governatore della Louisiana ha vari punti di forza che attraggono gli strateghi di McCain. Innanzitutto, a 36 anni, darebbe un tocco di freschezza alla candidatura del senatore dell’Arizona, che si presenterà agli elettori a 72 anni a novembre, il più anziano candidato presidente nella storia (se si esclude il secondo mandato di Ronald Reagan). Jindal è un politico di successo con la faccia da ragazzino e i tratti somatici indiani: la sua elezione lo scorso ottobre ne ha fatto l’americano con radici familiari in India più importante negli Usa. McCain ha trascorso molto tempo negli ultimi giorni con Jindal a New Orleans e sarebbe rimasto colpito dal giovane governatore. Jindal, infine, è un ex induista convertito al cattolicesimo e l’elettorato cattolico è uno dei più importanti ai quali McCain deve puntare. Tra i possibili vice di McCain c’è anche Mitt Romney, convocato pochi giorni fa in un vertice ristretto con il candidato presidente. In lista ci sono pure il governatore del South Carolina, Mark Stanford e quello della Florida, Charlie Crist, fondamentale nella vittoria di McCain nelle primarie in Florida che hanno aperto la strada verso la conquista della nomination. McCain non ha deciso. Ha tempo, ma non troppo. Ne ha di più di Obama, ma deve stringere i tempi. Si tratta, si lavora, si cercano compromessi. La caccia è aperta: non si può sbagliare persona. Chiunque voglia arrivare alla Casa Bianca deve avere un vice forte e capace di fare il lavoro giusto. Anche quello sporco, quando servirà.