Charles Dickens, l’etica del Natale e lo spirito del capitalismo

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Charles Dickens, l’etica del Natale e lo spirito del capitalismo

25 Dicembre 2008

Chi di noi non ha letto almeno una volta “Canto di Natale” di Charles Dickens? Si tratta del lungo racconto nel quale il grandissimo narratore britannico narra una storia che ha una morale molto esplicita. La storia è quella di Ebenezer Scrooge, avaro proprietario di una piccola azienda, la cui occupazione principale è aumentare il suo capitale: a Natale si trova solo, dopo aver respinto l’invito del nipote a festeggiare insieme. Di notte, gli appare il fantasma del suo socio defunto, che fra orribili rumori di catene e soffi di vento gelido, lo ammonisce a diventare generoso. Gli appaiono poi tre spiriti: quello del Passato, quello del Presente e quello del Futuro. Il passato di Scrooge risulta composto da una serie di occasioni mancate; il presente non è neppure vissuto; il futuro si preannuncia triste, solitario e senza speranza. Scosso da questa serie di apparizioni e dallo sguardo critico che queste lo hanno costretto a gettare sulla sua vita, l’antesignano di Paperon de’ Paperoni si risolve a mutare atteggiamento: il giorno dopo darà un aumento al suo impiegato e per Natale festeggerà con il nipote e la sua famiglia. Scoprirà così che essere generosi con il prossimo e non essere attaccati al guadagno a ogni costo dà molto in cambio: scalda il cuore e attrae l’affetto degli altri.
   La morale è evidente: è pessimo quel modo di vivere che esalta il lavoro, il guadagno da esso derivato e il denaro sopra ogni altra cosa. E’ buono quel modo di vivere che tiene il guadagno al suo posto ma non se ne fa schiacciare. Per estensione, diremo che è buono quel sistema produttivo, quell’ordine sociale, che si comporterà in modo analogo, mettendo il denaro in basso nella scala dei valori e ponendo in alto ideali quali la simpatia, la solidarietà, la preoccupazione per il prossimo. E’ buono quel sistema sociale che non veda una disuguaglianza eccessiva fra i suoi membri, o che in ogni caso abbia nei confronti dei più poveri un atteggiamento misericordioso e li aiuti concretamente.
   C’è in questa favola tutto il mondo ideologico di Dickens. Quancuno protesterà nel vedere ridotto anche l’autore di “Oliver Twist” e di “Grandi speranze” all’ideologia e alla politica: ma bisogna ricordare che Dickens è stato uno degli esponenti più rappresentativi di quella corrente definita da Marx e dai marxisti ”anti-industrialismo romantico”. In breve, questa corrente (che annoverava nelle sue file personaggi del calibro di Thomas Carlyle, John Ruskin, William Morris) criticava il capitalismo e il sistema industriale per le grandi disuguaglianze che aveva prodotto e per lo stato di miseria e abbrutimento in cui aveva ridotto la parte più consistente della popolazione. Sembrava – a chi ragionava così – che il mondo dell’industria sacrificasse ogni cosa all’idolo dell’oro, a un guadagno che cresceva su se stesso, alla malefica potenza del denaro di riprodursi a scapito del lavoro. Marx li definiva romantici poiché quegli autori criticavano il capitalismo ma non auspicavano una rivoluzione: desideravano semmai un ritorno a tempi più felici e meno produttivi, il Medioevo sopra tutti.
   Dickens fa parte integrante di questo grappolo di autori, e lo mostra nel romanzo famosissimo “Tempi difficili”. Ma “Canto di Natale”, scritto nel 1843, non è da meno: mostra il mondo del lavoro come una piramide un cima alla quale stanno pochi avidi e alla base della quale faticano molti poveretti sfruttati senza pietà. Individua lo spirito del capitalismo nel gusto del guadagno fine a se stesso, senza alcuna finalità ulteriore. Vede la società industriale spaccata in due parti che non hanno fra loro alcuna comunicazione: i ricchi e i miseri. Il suggerimento di Dickens è questo: piantiamola di lavorare per guadagnare, introduciamo nella società valori spirituali, amiamo il nostro prossimo, e saremo certamente più felici. Erano più felici – dice – le epoche in cui il denaro non era posto sugli altari come in quella di oggi.
   Generazioni di lettori hanno letto il racconto: divertendosi un sacco, perché Dickens scrive in modo magistrale anche quando moraleggia. Hanno anche provato un certo fastidio nell’essere riportati sempre, invariabilmente, alla malvagità di un sistema economico-sociale che in fondo si è rivelato formidabile da altri punti di vista. Hanno percepito la vena moralista della tirata sul denaro che uccide tutti i valori, e con essi la felicità dell’essere umano, e si sono chiesti se l’autore avesse ragione. Ce lo chiediamo anche noi: è possibile salvare il Natale, e con esso i valori che la festa richiama (la generosità, la bontà d’animo, l’affetto verso chi non conosciamo e ci è estraneo, la solidarietà) e contemporaneamente non buttare dalla finestra industrializzazione e capitalismo? E’ proprio vero che si è felici solo quando il denaro non è in cima ai nostri pensieri e se ne possiede poco? Sono davvero così inconciliabili le festività che ci accingiamo a celebrare e i valori del mondo borghese che abbiamo ereditato dall’Ottocento? Io penso di no, penso che non siano affatto inconciliabili: mi piacerebbe sapere che cosa ne pensa chi mi legge. Buon Natale.

C. Dickens, Canto di Natale, Milano, Rizzoli, 2008.