Charlie Gard, l’eutanasia e il paradosso dell’autodeterminazione

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Charlie Gard, l’eutanasia e il paradosso dell’autodeterminazione

Charlie Gard, l’eutanasia e il paradosso dell’autodeterminazione

20 Giugno 2017

La vita di Charlie Gard, un bambino che ha il solo torto di non essere sano, è appesa a un filo; ma quel filo non è il decorso della sua malattia, bensì l’ennesima sentenza di un tribunale. Sono i giudici inglesi –su richiesta dei medici- che hanno stabilito che Charlie non ha diritto alle cure, e saranno i giudici della Corte europea dei diritti dell’uomo a dire l’ultima parola sul caso. Ieri il tribunale di Strasburgo ha ammesso il ricorso presentato dai genitori di Charlie, ma si tratta di un atto formale: solo nei prossimi giorni la Corte, composta da un magistrato per ogni paese che fa parte del Consiglio d’Europa, e che attualmente è presieduta dall’italiano Guido Raimondi, entrerà nel merito della questione, e prenderà una decisione.

In Italia abbiamo vissuto un caso analogo, quello di Eluana Englaro. Otto anni fa Eluana, curata dalle suore misericordine di Lecco, moriva secondo il protocollo indicato dalla Corte d’Appello di Milano, che prevedeva la sospensione di idratazione e alimentazione. Un protocollo agghiacciante, che entrava nei dettagli, e si spingeva fino ad ammettere “l’umidificazione delle mucose” perché la “paziente” non soffrisse troppo. Il caso Englaro lacerò l’Italia, e produsse un conflitto istituzionale ai massimi livelli, tra l’allora presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, e il presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi. Il governo infatti si era riunito per emanare d’urgenza un decreto che salvasse la vita ad Eluana, ma Napolitano non lo volle firmare.

La maggioranza parlamentare tentò di varare a tempo di record un disegno di legge con gli stessi contenuti del decreto, ma la Englaro morì mentre nell’aula del Senato si iniziava a votare. Ho ricordato questa vicenda molte volte, perché mi sembra intollerabile che tutto questo sia rimosso e dimenticato, e che tanti non conoscano la vicenda, e ignorino la grande e nobile battaglia politica che è stata fatta. Ne parlo oggi, ancora una volta, mentre in Italia si sta approvando una legge sul testamento biologico aperta all’eutanasia (anche dei minori), grazie alla possibilità di sospendere non soltanto le terapie, ma anche idratazione e nutrizione. Ne parlo mentre in Inghilterra, la patria dei diritti individuali e del liberalismo, un bambino può essere sostanzialmente sottratto ai propri genitori, e condannato a morte dallo Stato.

La battaglia sul caso Englaro non ha evitato la morte della povera Eluana, ma ha impedito che nel nostro paese ci fossero altri casi simili, e che l’eutanasia entrasse attraverso le sentenze, come alcuni avevano immaginato di fare. Non ci sono più stati tentativi di costruire “casi” giudiziari esemplari, e quella strada, giudicata dalle attivissime minoranze “prodeath” come la più breve e strategica, è stata abbandonata. Si è quindi passati per la via più lunga e rischiosa, quella parlamentare, una via aperta dal fatto che un piccolo scarto di voti (lo 0,4%) ha attribuito la maggioranza in Parlamento alla sinistra. La discussione è in corso, e vedremo se la legge sarà o no approvata. Ma il caso di Charlie impone una riflessione.

Tutto ruota ormai intorno al criterio di autodeterminazione: la Cassazione decise che la Englaro dovesse morire dopo aver ricostruito le sue volontà a posteriori, e nonostante il metodo fosse quanto meno discutibile (nessun tribunale userebbe lo stesso metodo per la trasmissione di un bene, un’eredità: per decidere della vita di una persona, invece, è stato fatto), il criterio dell’autodeterminazione è servito da alibi. D’altra parte i genitori e il tutore volevano la morte di Eluana, e nessun altro aveva diritto a intervenire. Per il bimbo di Connie e Chris, invece, la situazione è all’opposto: i genitori vogliono disperatamente lasciarlo in vita, e, come è noto, hanno raccolto fondi sufficienti a portarlo in America, dove sarebbe sottoposto a una cura sperimentale. La soluzione più ovvia, semplice e naturale, sarebbe dunque quella di restituire il piccolo alla mamma e al papà, e lasciarli tentare. Sono i genitori ad avere il diritto di decidere, è a loro che è delegata l’autodeterminazione del minore.

Ma qui invece, l’autodeterminazione è sparita. I medici hanno deciso e i tribunali hanno confermato la decisione, e così è lo Stato, senza veli, senza necessità di alibi, giustificazioni o mistificazioni, a detenere il diritto di vita e di morte sul bimbo. E’ il paradosso, ben noto a chiunque abbia approfondito la questione dell’eutanasia e del testamento biologico, dell’autodeterminazione che scivola velocemente nella più incredibile “eterodeterminazione”. Quando la persona è sola, quando si smaglia il tessuto di mediazioni e relazioni che protegge l’essere umano dalle intrusioni eccessive dello Stato, il risultato è inevitabilmente questo, e lo confermano tutti i dati nei paesi dove l’eutanasia è legge. Charlie Gard è ostaggio dello Stato nella liberale e civile Inghilterra, e i suoi genitori sono impotenti di fronte alle decisioni di vita e di morte che lo riguardano. Ai senatori che si apprestano a votare la legge sul testamento biologico vorrei dire: pensateci bene. Pensate a Chris e Connie, guardate la foto in cui hanno portato il loro piccolo sulla terrazza dell’ospedale per stare insieme, godere di qualche momento con lui non sapendo se potranno farlo ancora, se dalla Corte di Strasburgo verrà una decisione di vita o di morte.

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