Che cosa ci insegna la “delucheide”
02 Marzo 2018
Che cosa insegna la delucheide. “’Il sistema De Luca è peggiore di quello di Bassolino’”. Marco Demarco, storico ex direttore del Corriere del Mezzogiorno fino al 2015 e profondo conoscitore delle dinamiche del Sud Italia, non ha dubbi. ‘Il potere di De Luca è sempre stato tollerato perché l’efficienza prevaleva nel giudizio sul verticismo e sul cesarismo. Ma senza risultati non regge più’“. Così scrive Pietro Salvatori su Huffington Post Italia del 20 febbraio. “Agghiacciato” dalla corruzione che sta emergendo sul caso rifiuti in Campania, il presidente dell’Autorità Nazionale Anticorruzione Raffaele Cantone definisce ‘illuminanti’ i risultati dell’inchiesta di Fanpage, pur dicendosi contrario all’uso di agenti provocatori” così un lancio Ansa del 20 febbraio. “A che punto è ridotta la democrazia italiana? Siamo arrivati al punto che una persona perbene deve vivere nella paura” dice Vincenzo De Luca su Salerno today del 19 febbraio. Ecco tre pareri che nonostante siano sostanzialmente discordanti, mi convincono ugualmente tutti e tre. E’ vero che De Luca è stato seriamente efficiente, è vero che sta familisticamente degenerando, è vero che l’inchiesta di Fanpage dimostra una situazione di disgregazione, ed è vero che persino una persona di qualità come Cantone ma con ruoli impropri e lo scandalismo di giornalisti, dipendenti dalla pubblica accusa come un drogato dall’eroina, stanno mettendo in crisi la democrazia italiana, e c’è d’aver paura. Che cosa consente di trovare un elemento unitario in pareri e analisi così difformi? Il fatto che il verticismo senza reale base politica e forte subalternità a influenze internazionali di Matteo Renzi ha esasperato gravi difetti che la Seconda repubblica portava con sé, e che solo un’espansione della democrazia (pur con equilibri e assetti che consentano vere decisioni) può risanare.
Ci sono anche ex magistrati colti e consapevoli. “E’ evidente che il reato l’induco io” Pier Camillo Davigo spiega sulla Repubblica del 23 febbraio la sua idea del diritto. Ciò che colpisce nell’argomentare dell’oggi giudice di Cassazione non è il suo risaputo spirito forcaiolo ma la pochezza del suo pensiero. E’ un balsamo quindi per l’anima leggere il tormentato articolo di Luciano Violante, uno che ha letto Thomas Hobbes e lo ha anche capito contestualizzandolo, quando scrive sul Corriere della Sera del 25 febbraio parole come queste: “Il sospetto frutto avvelenato di questo moralismo discriminatore”. Certo, si dirà che l’ex giudice istruttore a Torino ha confermato oltre ogni limite la classica previsione del fatto che si nasca incendiari e si muoia pompieri. Lui in età pienamente adulta ha acceso parecchi di quei fuochi che hanno incendiato la Prima repubblica e preparato un terreno impossibile per la Seconda, e adesso, a questa nostra età di settantenni, cerca di spegnerli uno per uno. Comunque la passione sia pur quasi disperata, la cultura sempre più affilata che mette in questo suo nuovo impegno gli hanno guadagnato (il che peraltro, in sé, non è che sia un granché) tutto il mio rispetto.
Dall’uomo qualunque al giornalista qualunque. “Opposti populismi” così Massimo Giannini sulla Repubblica del 19 febbraio bolla centrodestra e grillini. Il presentatore trombato di Ballarò vorrebbe picchiare duro soprattutto su quello schifoso di Matteo Renzi che l’ha fatto fuori, ma l’ordine di scuderia è proteggere gentilonianamente il centrosinistra. Vorrebbe dichiarare il suo vero amore per Massimo D’Alema, ma tra i due cuori all’unisono si è piazzata quella ciofeca di Pietro Grasso. Allora non gli resta che insultare gli opposti populismi. Da Massimo diventa Guglielmo, e dall’uomo si passa al giornalista qualunque.
Con i grillini si dà un calcio (autolesionista peraltro) a una politica distante dai cittadini. Con Casa Pound, Potere al popolo e altre pinzillacchere dei sub-calcetti. “Ho aderito a Potere al popolo perché c’è un problema di partecipazione dei giovani alla politica. Loro invece hanno deciso di scendere in campo, per questo li vedo con molta simpatia e li voterò. Mi piacerebbe vederli nel prossimo Parlamento”. Così dice Cesare Salvi a Gianluca Roselli su Formiche 26 febbraio. La logica di Salvi, a lungo legato a Massimo D’Alema e ora risentito verso i suoi vecchi compagni non mi ricordo bene per quale motivo, è la stessa di chi sceglie i grillini come suoi rappresentanti. Come dice Stefano Folli sulla Repubblica del 16 febbraio: “Votando i Cinquestelle si dà un calcio a tutti gli altri”. Oltre il “calcio principale” ci sono oggi anche tutta una serie di subcalcalcetti: votando appunto, per esempio, Potere al popolo o Casa Pound. La riflessione razionale, con naturalmente necessari esiti alternativi, lascia posto alla disperazione e al rancore, si perde di vista il problema che persino all’Italia serve un qualche governo e si pensa solo a mandare a quel paese chi ti ha deluso, tradito, ti sembra (talvolta con argomenti) un corrotto, è insopportabilmente teppista o soavemente inconsistente, o ha comunque pasticciato troppo. Ecco il frutto diretto dei quattro governi a scarsa base popolare che si sono succeduti dopo il 2011: il catastrofico governo Monti, il beffardo governo Letta (quello che voleva l’unità nazionale cacciando dal Senato il leader della seconda forza politica nazionale), il governo Renzi di un premier non solo extraparlamentare ma arrogante come se avesse preso il 60 per cento dei voti, e infine la tiepida camomilla del governo Gentiloni, ricco di “consensi internazionali” (chiedere per conferma a Eni e ai turchi. O agli amministratori milanesi-lombardi e ad Amsterdam con la sua Ema. O agli operai dell’Embraco e alla Slovacchia, e così via). Le dissennate élite nazionali che, sempre più stancamente peraltro, condizionano ancora la discussione pubblica, sembrano quasi non rendersi conto dei guasti che hanno e stanno suscitando. Leggete per esempio Paolo Valentino sul Corriere della Sera del 26 febbraio. “Se andasse così, la governabilità del primo Paese d’Europa verrebbe affossata dall’1% di quanti hanno votato a settembre”. Fedele interprete della linea “responsabile” del “giornalista collettivo”, l’inviato corrierista in Germania sostiene che se nella Spd prevalesse il rigetto della grande coalizione, un 1% dell’elettorato condizionerebbe il voto della grande maggioranza della popolazione. Si dimentica però di ricordare che alle politiche Martin Schulz chiese i voti giurando che non avrebbe mai più fatto un governo con Angela Merkel. Ecco un classico esempio del disprezzo per gli elettori che ha sviluppato l’abnorme tendenza in atto a prendere a calci tutto e tutti. Eppure alla fine l’esigenza di dare un indirizzo nazionale al nostro Paese in cui la situazione generale è così turbolenta (pensate solo a quel che lasciamo fare a Recep Tayyip Erdogan), deve prevalere su qualsiasi pur giustificato sentimento (e risentimento) e dunque, trattenete la gambetta, rinunciate a calci e calcetti pur meritati, e votate per dare una guida all’Italia, magari non perfettissima, ma che almeno sia un governo e non un pantano (garantito sia da false maggioranze di unità nazionale gentiloniamente subalterne sia dalla protesta senza testa dei Cinquestelle) nel quale prevarrebbero soprattutto influenze straniere abnormi persino per noi.