Che farebbe il Tea Party se Romney vincesse le primarie?

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Che farebbe il Tea Party se Romney vincesse le primarie?

01 Giugno 2011

Manca poco all’annuncio della candidatura per le elezioni presidenziali 2012 di Mitt Romney. Il 2 giugno, infatti, l’ex governatore del Massachusetts ufficializzerà la corsa alla Casa Bianca nello Stato del New Hampshire. Sarà questa la volta buona per sfidare Barack Obama, dopo che il primo tentativo nelle primarie del 2008 lo vide arrendersi a John Mc Cain? A leggere gli articoli degli opinionisti dell’Huffington Post si direbbe proprio di sì: “Tra Mitch Daniels che conferma la sua rinuncia alla presidenza e i nuovi sondaggi che mostrano come Mitt Romney sia il candidato di punta per la nomination repubblicana del 2012, ci sono concrete possibilità che queste primarie finiranno ancor prima di cominciare”, apre così il suo articolo Lincoln Mitchell. Ma in realtà le cose non stanno proprio così. Da cosa nasce, quindi, la sicurezza mostrata dal giornale obamiano? La chiave è nel titolo dell’articolo: “Mitt Romney e il declino del Tea Party”. I contorni della figura di frontrunner tanto più si adatterebbero al 64enne ex governatore quanto più il movimento liberal-conservatore si andrebbe sfaldando, non essendo così capace di esprimere un candidato unico. E, soprattutto, forte. Perché di vero, nell’analisi dell’Huffington Post, c’è senza ombra di dubbio l’ostilità dei leader del Tea Party nei confronti di Romney.

“Romney ha una storia che a noi non piace così tanto”, dichiara Adam Brandon, direttore della comunicazione del Freedom Works, centro di organizzazione del movimento conservatore, con sede a Washington. Mormone dalla forte ascendenza laica, il curriculum di Romney presenta un punto che dà l’orticaria agli esponenti del Tea Party: Healthcare reform, ovvero la riforma sanitaria. Nel 2006, infatti, durante il suo mandato di governatore del Massachusetts, Romney approvò una riforma del sistema sanitario dello Stato della East Coast americana, in cui, indovinate un po’, si rendeva obbligatoria la stipulazione di un’assicurazione sanitaria per tutti i cittadini. Mitt Romney come precursore di Barack Obama, quindi, e proprio nello Stato che ha per capitale Boston, teatro dello storico Tea party del 1773? Apriti cielo. Gli attivisti del Tea Party si starebbero impegnando, di conseguenza, per individuare un altro candidato solido, convincente, appealing, che incarni il principio fondante del movimento liberista, il “meno governo federale, please”. E che tolga consenso a Romney, anche andando contro l’“Undicesimo Comandamento” caro all’ex Presidente degli Usa Ronald Reagan: un repubblicano non deve mai attaccare un altro repubblicano.

Nella rosa dei possibili candidati figurano per ora: Tim Pawlenty, ex governatore del Minnesota; Michele Bachmann, eletta alla Camera dei Rappresentanti; Sarah Palin, candidata nel 2008 alla vicepresidenza nel ticket con John McCain; il membro della Camera Ron Paul; l’afroamericano Herman Cain, ex amministratore delegato della catena Godfather’s Pizza. Tanti nomi, alcuni amatissimi dal Tea Party (come Paul o la Bachmann), ma verosimilmente troppi, e quindi incapaci di catalizzare attorno a sé un consenso pressoché unanime del movimento. L’identikit che più ci va vicino è quello della Palin, vera e propria pasionaria del Tea Party, che però a fronte del sostegno della base del movimento potrebbe scontare l’avversione dell’establishment repubblicano. Stessi problemi di coesione fra vertice e base movimentista presenterebbe Tim Pawlenty, che tra tutti i nomi menzionati sembra essere quello più vicino al grado di consenso di Romney. Per quanto riguarda Herman Cain, la caratterizzazione di “Obama di destra”, che nasce dalla comune origine africana con il Presidente degli Stati Uniti, potrebbe finire per risultare totalizzante, annullando di conseguenza gli altri aspetti del suo profilo politico, risultando quindi controproducente, in una campagna elettorale contro l’attuale inquilino della Casa Bianca.

Si profilerebbe, dunque, uno scenario in cui Mitt Romney trarrebbe beneficio dalla almeno apparente e momentanea fase di stallo del Tea Party. Ma è possibile pensare a un candidato repubblicano che vince le primarie del suo partito, pronto per sfidare Obama, senza l’appoggio fondamentale dei tea partiers?  È certamente vero che, nelle primarie, la competizione tra i vari candidati dello stesso partito assume immancabilmente i toni di una lotta fratricida – basta vedere la campagna elettorale con cui Hillary Clinton ha cercato in tutti i modi di delegittimare Obama – ma, una volta conclusa la pratica, il fronte si ricompatta per presentarsi unito contro il candidato della fazione opposta – e anche qui vale il discorso della Clinton con Obama. In parola povere: Romney potrebbe diventare un vero sfidante per Obama se il Tea Party lo appoggiasse, ma prima delle presidenziali ci sono le primarie e, come dimostra l’ultimo sondaggio commissionato da Gallup, le cose si complicano: Romney prevale di soli due punti percentuali su Sarah Palin (17% a 15%), seguita da Ron Paul (10%) e dall’ex speaker della Camera Newt Gingrich (al 9%, ma anch’esso poco apprezzato dal Tea Party). E allora, quanto vale il sostegno di un movimento così dirompente come quello del Tea Party – vera locomotiva che ha trainato il GOP verso la vittoria nelle elezioni di mid term del 2010 – così strutturato a livello di attivismo grassroots, di impegno politico della base? Vale quanto il sostegno dell’establishment repubblicano? E il Tea Party sarà costretto ad adeguarsi se a prevalere fosse Romney? Una cosa è certa: parlare di "declino" del movimento, come fa l’Huffington, è prematuro.