Che fine ha fatto la democrazia a Roma e Napoli

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Che fine ha fatto la democrazia a Roma e Napoli

07 Aprile 2017

A Roma e a Napoli l’anno scorso si è votato. Sono stati eletti sindaco e consigli comunali. Probabilmente però sarebbe stato meglio farne a meno. Nel senso che la normativa sull’elezione diretta dei capi degli esecutivi locali non prevede affatto quel circuito di democrazia über alles con la quale i governi regionali hanno finora creduto di interpretarla. Quando la cosiddetta spesa pubblica allargata si è allargata talmente da farsi incontrollata ed incontrollabile, bisogna staccare la spina e affidare a un trasparente commissariamento burocratico quel che il processo democratico non ha più titolo a deliberare.

Su Roma e su Napoli, invece, il governo Renzi non parve agitato da alcuna esitazione: molte preoccupazioni, certo, soprattutto a Roma, perché il commissariamento non derivasse da questioni di criminalità organizzata, cioè deciso dal Viminale, ma massima disattenzione in entrambi i casi ai flussi e alle previsioni di spesa pubblica (comunale e regionale). E sì che quando il governo Renzi giudicò opportuno che a Roma e a Napoli si votasse, le generose candidature dell’onorevole Giachetti e della onorevole Valente non si erano ancora profilate. Scaturite poi in quella fornace di rito sacro erga omnes che sono ormai le primarie del centro-sinistra, esse non bastarono ad ostacolare l’incedere di carri armati über alles quali si rivelarono le candidature della Raggi a Roma e di De Magistris a Napoli.

Ora però a Roma la commissaria Scozzese è parsa ultimativa: la crisi di liquidità del Comune arriverà nel 2019 e non, come ci si era illusi, nel 2022. Sicché le strade sembrano ormai soltanto due: o il debito se lo accolla l’esecutivo nazionale oppure se lo accollano i romani. Ovviamente, tutte e due le strade, oltre a far aumentare sempre più le tasse, rappresentano uno strano modo di rassegnarsi all’inesorabile peggioramento di servizi e strutture del Comune. Quanto a Napoli, dopo la tentata aggressione di Salvini, De Magistris ha scelto di concentrare tutte le sue risorse suo sport preferito: l’antisemitismo. In prima pagina su “Il Mattino” di domenica scorsa lo sottolineava il vice ambasciatore di Israele. A disonore della città, poi quell’antisemitismo autentico il sindaco ritiene sia “soltanto” antisionismo…