Che male c’è se i giovani preferiscono restare con mammà e papà?
02 Febbraio 2010
Ho seguito con molto interesse quanto il Ministro Brunetta ha detto circa la inopportunità che i giovani rimangano tanto a lungo in famiglia. E confesso che è un argomento sul quale mi è capitato più volte di riflettere. Ovviamente non posso che ragionare sulla base della mia esperienza e su quella delle persone che conosco bene, perciò tutto quello che scriverò sarà assolutamente personale e soggettivo. Ma spesso, confrontandosi, si può arrivare a capire meglio un fenomeno che pare tanto massiccio.
Ho studiato anch’io lavorando, ma ero in famiglia e quindi sono riuscita a laurearmi in corso. Subito dopo mi sono sposata, perché avevo trovato la persona giusta e perché ero spinta ad uscire di casa da un padre col quale non sono mai riuscita ad andare d’accordo. Questa condizione era relativamente frequente perché anche molte delle mie amiche e conoscenti dell’epoca avevano la medesima pulsione di fuga dal padre o comunque da una situazione che non condividevano.
Inutile dire che per un po’ fummo aiutati a fare la spesa, a pagare l’affitto: in quegli anni però, un terzo dello stipendio di un insegnante serviva per pagare l’affitto di una modesta abitazione e si riusciva anche a trovarla con una certa facilità.
Oggi la situazione è un po’ diversa, perché dallo stipendio di un insegnante, una volta pagato l’affitto ai livelli cui siamo arrivati a Roma, rimane ben poco. Di conseguenza una giovane insegnante non è in grado di pensare ad un alloggio autonomo che significherebbe anche spese fisse aggiuntive insostenibili con le entrate di cui dispone. A questa osservazione che è semplicemente accostamento di numeri, se ne accompagna anche un’altra, positiva questa volta, che riguarda il miglioramento dei rapporti tra genitori e figli.
Dall’inizio del Novecento, (“Il secolo dei fanciulli” di Ellen Key ce lo ricorda) l’atteggiamento dei genitori nei confronti dei figli è contraddistinto da una maggiore comprensione e tolleranza. Può darsi che come sempre accade, i figli dicano ai genitori che non li capiscono o che non capiscono niente tout court, ma mano a mano che l’età aumenta, credo che comprendano veramente di essere stati e di essere, nella grande maggioranza dei casi, oggetto d’amore e di attenzione.
Non che prima non lo fossero, ma certo, basta documentarsi un po’ per comprendere quanti maltrattamenti fisici e morali siano stati riservati ai bambini, quante violenze abbiano subite nelle varie epoche. Credo che il mutato atteggiamento non si debba soltanto a Maria Montessori che ha grandissimi meriti per aver richiamato l’attenzione di tutti gli adulti sulla grande responsabilità dell’educazione, ma soprattutto a San Giovanni Battista De Lasalle (nato a Reims nel 1651) che dedicò la propria vita all’educazione costruendo una vera e propria pedagogia rivoluzionaria per i tempi. La sua attività iniziò con una collaborazione di insegnante presso le scuole frequentate dai figli dei poveri, quelli che non si potevano permettere niente di meglio e subito comprese che erano gestite male e soprattutto tenute da maestri ignoranti e senza stimoli. Il suo lavoro ebbe una importanza straordinaria, perché in un tempo dove picchiare un bambino era considerato necessario alla sua educazione e funzionale alla crescita, lui dichiarò che l’umiliazione non educa ma crea ribellione e risentimento. E cominciò a lavorare con gli insegnanti per aiutarli a crescere, a conoscere, ad imparare loro per primi. La violenza semina violenza, diceva, e quindi lui si pose dinanzi agli allievi come un “fratello” che si preoccupi della crescita morale e spirituale del bambino che gli viene affidato.
Molti poeti e letterati raccontano con orrore quel periodo della loro giovinezza durante la quale gli adulti si sentivano autorizzati a tenerli “Sotto la ruota” come scrive Hermann Hesse e, non vi sono dubbi che scriva il vero. Poi, il miracolo, il seme lanciato da san Giovanni Battista de Lasalle è germogliato, Maria Montessori l’ha raccolto e, mi pare, se si lasciano da parte i luoghi comuni e le baggianate che si raccontano, che madri e padri abbiano il massimo rispetto per i figli che vogliono crescere e che, nella maggior parte dei casi vengano anche ricambiati. Sottolineo anche i padri, perché mi è spesso capitato di notare con quanta cura i giovani padri seguano la crescita dei figli.
Questa migliore situazione favorisce la permanenza in casa di giovani che forse non si decidono ad andarsene anche per problemi economici, ma che con i genitori si trovano bene. E, in fondo, senza arrivare alle farneticazioni del Fourier, è indubbiamente meno costoso “aggiungere un posto a tavola” che prepararsi da mangiare da soli. Si risparmia il gas, l’affitto, le spese fisse che spuntano come funghi maligni.
Senza ricordare poi che vi sono situazioni in cui la presenza di una nonna o di un nonno, magari pensionati, può offrire ai nipoti un’attenzione rassicurante e costante. Qualcuno ha scritto che si tratta di semplice sfruttamento dei nonni, che rappresenterebbero una fonte di servizi gratuiti inenarrabili, ma mi rifiuto anche solo di prenderlo in considerazione perché se chiarisce un lato della questione, trascura colpevolmente quello principale che è l’amore per figli e nipoti. Personalmente non credo che per vivere bene si debba vivere da soli.
A volte, periodi di solitudine conciliano con la vita, ma devono essere appunto solo periodi, momenti dai quali si emerge ristorati ma con la consapevolezza che la famiglia è un abbraccio perpetuo e non soggetto a scadenze come il latte. Se poi un figlio desidera andarsene, farà bene a farlo. Non dubito che a volte ci sia anche un po’ di pigrizia nel rimanere ad oltranza, ma mi piace anche pensare che vivere assieme sia un modo per assaporare meglio la vita che continua attorno a noi e che continuerà dopo di noi.
Una famiglia allargata è secondo me una grande ricchezza, un luogo privilegiato dove si può esercitarsi a convivere con gli altri, ad accettarne pregi e difetti, a tenere nel giusto conto gli aspetti positivi che offre e che, insisto, non sono esclusivamente di natura economica, ad accettare che convivano assieme più generazioni. E’ nell’incontro con punti di vista che nascono da esperienze di vita diverse, anche nel tempo, che possono nascere i frutti migliori.
Se poi vivendo in una famiglia allargata si risparmia, tanto meglio. Oltre che sul lavoro, la nostra nazione è fondata anche sul risparmio e io non posso fare a meno di trovarlo saggio.