Che ne è dell’embrione congelato se il genitore ci ripensa?
03 Marzo 2021
di Aldo Vitale
Dal sito del Centro Studi Livatino
- Con una ordinanza recante la data del 27/01/2021 il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere ha disposto il trasferimento in utero degli embrioni crioconservati della donna che aveva promosso il ricorso, e ha respinto le richieste dell’ex marito di costei, che invece aveva chiesto che gli embrioni non fossero impiantati, a causa della separazione intervenuta dopo la fecondazione.
Il punto di partenza di brevi riflessioni di ordine biogiuridico è il dato normativo, cioè il tenore letterale della legge 40/2004, che all’art. 1 tutela “i diritti di tutti i soggetti coinvolti, compreso il concepito”. La medesima legge sancisce altresì all’art. 6 non soltanto che le tecniche di procreazione medicalmente assistita necessitano di espresso consenso scritto, ma perfino che tale consenso può essere sempre revocato, purché non oltre l’invalicabile limite del momento della fecondazione.
La ratio iuris è evidente sia in ragione del tenore letterale che dello spirito dell’intera legge, cioè per un verso estendere la tutela giuridica anche all’embrione, salvaguardando la posizione giuridica del concepito e non soltanto quella dei genitori, e per altro verso garantire quanto più possibile la certezza delle situazioni giuridiche, evitando ripensamenti e controversie dopo la formazione degli embrioni da impiantare.
- Lo statuto morale e giuridico dell’embrione è stato più volte e da tempo riconosciuto meritevole di tutela da parte della dottrina e della giurisprudenza. Per la Corte Costituzionale “l’embrione, infatti, quale che ne sia il, più o meno ampio, riconoscibile grado di soggettività correlato alla genesi della vita, non è certamente riducibile a mero materiale biologico”. In coerenza con tale principio l’ordinanza del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere ha ribadito che “deve ritenersi prevalente il diritto dell’embrione a nascere e il diritto alla tutela alla tutela delle esigenze della procreazione rispetto al diritto del genitore che ha la facoltà di revocare il consenso fino alla fecondazione”.
Sebbene, infatti, la giurisprudenza di merito abbia nel recente passato riconosciuto – in un caso relativo alla maternità surrogata – il diritto di ripensamento della donna gestante, un simile diritto non è altresì riconosciuto al padre, e comunque non dopo il momento della fecondazione, proprio perché la legge 40/2004 tale limite esplicitamente contempla, e in virtù della diversa dignità giuridica del bene tutelato, garantendo il diritto di nascita dell’embrione.
- Il Tribunale ha respinto le obiezioni della parte resistente sulla circostanza che sarebbe meglio non nascere piuttosto che nascere in una famiglia di genitori separati, poiché “la genitorialità è un concetto e una situazione di fatto spesso staccata dal nesso col matrimonio e dalla famiglia”. Questo specifico profilo presenta alcune difficoltà: in primo luogo, sebbene sia senza dubbio fattualmente vero che la genitorialità è un concetto ormai disancorato dal matrimonio e dalla famiglia, è pur vero che nell’ottica della fondazione giuridica della genitorialità proprio tale circostanza è fonte di problemi e controversie più che di soluzioni, come comprova il caso in esame.
In secondo luogo, il diritto a non nascere non solo non è configurabile, ma potrebbe e dovrebbe essere rivendicato dal soggetto interessato, cioè dal nascituro, o – come è ovvio – dal suo rappresentante legale, non certo da un soggetto terzo che si ritrova in conflitto di interessi con il medesimo, come in questo caso è il padre biologico.
In terzo luogo: sebbene sia corretta la prospettiva per cui un embrione crioconservato possa e debba venire alla nascita in ragione del progetto esistenziale originario messo in essere con la sua formazione e della sua specifica dignità morale e giuridica, è pur vero che risulta problematica la scelta di farlo venire alla nascita contro – o perfino senza – il consenso del padre biologico, poiché prolungando una simile linea di pensiero si potrebbe più facilmente giungere alla legittimazione della fecondazione post mortem, come già riconosciuta dalla giurisprudenza di merito, e di legittimità, nonostante l’inequivoca disciplina dell’articolo 5 della legge 40/2004.
- Non ci si trova di fronte a un trattamento sanitario obbligatorio, che in quanto tale contrasti con gli art. 13 e 32 della Costituzione, ma non per questo si può ritenere meno problematico, stante il diritto alla bigenitorialità del minore espressamente riconosciuto, fra gli altri, dagli art. 9 e 10 della Convenzione Internazionale sui Diritti dell’Infanzia del 1989.
L’interrogativo riguarda quali diritti si intendano tutelare: il diritto di diventare o di non diventare genitore, o il diritto alla vita e alla dignità del nascituro? Poiché quest’ultimo è il soggetto più fragile e vulnerabile, sia in senso giuridico sia in senso esistenziale, la previsione della legge 40/2004 della irrevocabilità del consenso dopo la formazione dell’embrione è posta a tutela di esso. La libertà procreativa dei genitori non è disgiunta dalla responsabilità che da una simile scelta inevitabilmente discende: questa vicenda conferma che si ha autentica libertà solo nel caso in cui si abbia autentica responsabilità. Come già notava Immanuel Kant, “il motto del diritto di necessità è ‘necessità non ha legge’; epperò non vi può essere nessuna necessità che possa rendere legittimo ciò che è ingiusto”.