Che quarantotto quel quarantotto
18 Maggio 2008
Il Quarantotto è tante cose assieme anche sul terreno internazionale. Sicuramente una data che spacca, fissando certi punti di non ritorno. Ed è anche una data che significa svolta. Fine dell’emergenza post bellica, inizio prepotente della ricostruzione. Il giorno saliente di quell’anno se si guarda con occhi nostrani dice del diciotto aprile. Ovvero, il momento in cui gli italiani decidono di votare plebiscitariamente lo scudo crociato e di mortificare le attese degli uomini del Fronte. “La campagna elettorale del 1948”, spiega Edoardo Novelli, autore di Le elezioni del quarantotto, “segna l’adeguamento al nuovo ordine geopolitica uscito dalla seconda guerra mondiale, che proprio in quei mesi si sta configurando”. E poco dopo precisa: “Dal punto di vista politico quelle elezioni fissano gli equilibri e i contenuti del confronto dei successivi dieci, quindici anni”. Alcide De Gasperi, appunto, il centrismo appunto, socialisti nenniani e comunisti di Palmiro Togliatti fuori dalla stanza dei bottoni, appunto.
Stabilite queste premesse, peraltro quasi scontate, il libro entra del merito e cerca di analizzare e spiega le novità di quell’irripetibile trionfo della Balena bianca sul restante scacchiere partitico. Intanto targata 18 aprile è “la definizione della mappa geopolitica d’Italia: il Nord-est cattolico, il Centro Italia rosso, le regioni più industrializzate terreno di scontro, divise fra voto operaio da un lato e voto borghese e del ceto medio dall’altro, il Sud, in alcune regioni democristiano e in altre serbatoio di voti per i partiti di destra”. Un quadro, osserva Novelli, che con qualche aggiustamento "resiste tutt’oggi”. Altri caratteri fondanti del quarantotto sono che fissa l’agenda “ideologica” dei decenni a venire. A cominciare dalla contrapposizione comunismo-anticomunismo con tutte le implicazioni e le variazioni del caso.
Ma lo scontro Fronte popolare-democratici cristiani è importante anche sul terreno strettamente tecnico. Dal punto di vista “della propaganda e della comunicazione politica” lo “spartiacque” è proprio autentico. Tanto che “nessun confronto è possibile con le esperienze precedenti”. Parliamo per intenderci di “risorse impiegate” di “quantità di persone coinvolte”, di “intensità e vastità della mobilitazione e della pluralità degli strumenti utilizzati”. Siamo davanti alla nascita delle campagne elettorali moderne, con protagonisti soprattutto i partiti di massa che ricorrono a strumenti sempre più ampi e sofisticati di comunicazione. Se non c’è ancora la televisione, spot e marketing sono di là da venire, per il resto non ci si fa mancare davvero nulla. Si passa così dal più tradizionale comizio (piazze che strabordano di folle, a sinistra in particolare, tanto da suggerire al Migliore, la fortunata e amara battuta: “Piazze piene urne vuote”) al manifesto (in proposito in appendice al volume è proposta un’ampia e assolutamente pregevole scelta di materiale propagandistico del tempo); dalle processioni (intendi le fattispecie madonnine pellegrine all’occorrenza persino piangenti) alla radio e al cinema, dai fumetti ai rotocalchi e, seppure in forma pionieristica, persino ai sondaggi.
E ancora a quel duello De Gasperi-Togliatti dobbiamo l’esplosione della “figura del militante” sino a quel momento “quasi clandestina” e al massimo circoscritta agli ambienti della sinistra che d’ora in avanti invece conquista “tutti i fronti politici diventando la grande protagonista della campagna elettorale e della nuova scena pubblica repubblicana”.
Edoardo Novelli, Le lezioni del quarantotto, Donzelli, pagine 190, euro 16,00.