Chesterton, il Santa Claus con la penna in mano che creò l'”uomo vivo”
01 Gennaio 2012
di Luca Negri
Da qualche anno abbiamo accantonato lo sterile antiamericanismo giovanile e ci siamo riconciliati con uno dei prodotti più riusciti dell’immaginario statunitense: il Babbo Natale grassoccio e vestito in rosso, inventato per pubblicizzare la coca cola. Sicuramente in qualche parte del mondo, anche d’Italia, c’è chi non sa o non ricorda che il 25 dicembre si celebra la nascita di Cristo. Però tutti sanno chi è Babbo Natale. Figura doppiamente paganeggiante, dunque: un prodotto di marketing diventato l’icona di una “festa d’inverno” che tocca i cuori e i portafogli in tutto il pianeta.
Ma, dicevamo, ci siamo riconciliati con la figura del nonnetto generoso che vive fra i ghiacci e porta i doni ai bimbi, un re magio casalingo e un po’ fumettistico. Dietro c’è la tradizione di Santa Claus, dunque San Nicola, patrono di fanciulli e marinai. Poi c’è un motivo più frivolo e assurdo, di quell’assurdità che sarebbe piaciuta a Gilbert K. Chesterton. Il motivo, infatti, è Chesterton stesso. Quale fra gli scrittori somiglia più di tutti a Babbo Natale? Chi lo ha visto in foto, non avrà dubbi. Era grasso, dall’aria gioviale, tonico e perfetto per sfoggiare una barba candida. Non ci stupiremmo troppo di vederlo sbucare dalla cappa del camino; anche perché il suo genio partorì un meraviglioso personaggio, l’“uomo vivo” chiamato Innocent Smith, che si concedeva spuntini sui tetti. E poi abbiamo sempre immaginato la risata di Chesterton simile a quella attribuita a Babbo Natale (oh-ho-ho).
Non per nulla ha scritto molto a proposito del Natale, oseremmo dire che non ha fatto altro, in ogni sua opera. Ovunque troviamo lo spirito del Natale, o meglio, spirito più carne ed ossa, e sangue e pancia. Troviamo l’abbondanza che dona, il supremo paradosso del Dio che si fa uomo. O come minimo, troviamo quel calore che serve per sopravvivere alle gelide notti del solstizio invernale. Lo cercano tutti, anche gli atei.
Chi vuole leggere qualche considerazione più precisa dello scrittore sul Natale, le deve cercare in La serietà non è virtù (pubblicato da Lindau), una raccolta di pezzi giornalistici scritti nell’arco di vent’anni. Tutti vivamente consigliati: quello che ispira il titolo italiano ci ricorda quanto “la serietà sia antireligiosa”, anzi “vezzo di tutte le false religioni” (come l’animalismo, oggetto di burla dell’articolo), quello sui futuristi è assolutamente da far leggere agli ultimi intellettuali finiani. Inoltre, Chesterton non manca di istruirci e divertirci su libri “pseudoscientifici”, divorzio ed altre “idiozie” assortite.
Nei pezzi sul Natale, invece, sentiamo il calore del focolare domestico, il luogo dove deve riunirsi la famiglia per incarnare il “cuore della politica”. Più che ai bambini, il Natale serve ai grandi, a “gentiluomini attempati” che hanno dimenticato quanto l’essere umano abbia bisogno del dono, oltre che di libertà ed autonomia. Serve a chi rifiuta le radici, senza accorgersi che solo grazie alle radici possiamo fare frutti. E’ un invito a non estirpare le nostre, allo sforzo di tramandare cosa va celebrato il 25 dicembre, qual è il vero dono portato da Babbo Natale, anche se è quello della coca cola.
Possiamo dunque fidarci e gioire dei doni di Chesterton. Anche se Alberto Melloni, storico della Chiesa, partigiano della cosiddetta “esegesi della discontinuità” riguardo al Concilio Vaticano II, ha preferito metterci in guardia, proprio dopo Natale, dalle pagine del Corriere della Sera. Secondo Melloni, nei saggi dello scrittore inglese c’è un vero serbatoio di argomenti per “una polemica antimoderna” utile alle “pulsioni illiberali e fascistoiodi” risorgenti in Europa. Peccato che offra prove poco convincenti di questa tesi, anzi incorra in qualche errore, speriamo non fazioso.
Ad esempio, accostare Chesterton alla “destra europea e mussoliniana” degli anni ’30, è poco corretto. Vero che espresse stima nei confronti del Duce (quando non mancava Churchill fra gli estimatori) però non ebbe simpatie per il nazismo degli esordi (morì nel 1936, risparmiandosi il peggio). Era notoriamente ben poco filoprussiano e molto democratico. Chi ha letto le sue opere può confermare che nemmeno si trattava di un antisemita. Mai polemizzò con Dickens, suo maestro riconosciuto, al contrario di quanto sostiene Melloni. E se la sua “profondità dottrinale” fosse stata “modestissima”, Pio XI non avrebbe salutato con il titolo di “Defensor Fidei”. Nemmeno i tanti chestertoniani italiani dovrebbero allarmare troppo Melloni: non sono per forza lefebvriani intransigenti né militanti di Forza Nuova. In ogni caso, leggendo il Corriere da lassù dove si trova, Chesterton si sarà fatto una grassa risata.
Oh-oh-oh.