Chi è “unfit” Berlusconi o l’Economist?
18 Aprile 2008
La prospettiva della stampa internazionale sul turnaround elettorale italiano è stata unifocale. Molti quotidiani americani ed europei si sono apertamente schierati a favore della vittoria del Partito Democratico. Niente di nuovo sotto al sole. L’endorsement dell’Economist, con un editoriale del suo direttore, ormai diventato un classico, è andato a Veltroni, l’uomo nuovo, che avrebbe portato in Italia il vento delle riforme che il nostro paese non può più rimandare. Così fu anche alla vigilia delle elezioni passate: “Basta!”, titolava il giornale britannico, “è arrivata l’ora per l’Italia di cassare Berlusconi”. Se non altro sono rimasti coerenti con il giudizio dell’allora direttore Emmot, e pochi giorni fa parlavano di Berlusconi apostrofandolo: “Un gattopardo, macchie immutate”.
Gli italiani non hanno ascoltato gli autorevoli economisti isolani, e hanno consacrato in misura netta la vittoria del Popolo della Libertà. Alla conta dei voti, la coalizione di centro destra, godrà di una maggioranza tutt’altro che esile in entrambi i rami parlamentari. In mattinata è apparso sul sito web dell’Economist un editoriale di prima analisi del risultato elettorale italiano. Il magazine londinese commenta con distacco, freddezza e superficialità l’espressione di voto dei cittadini italiani, e la voglia preconcetta di voler piegare la realtà alla propria volontà, prende il sopravvento fin dal titolo: “Italy swings to the right”, “l’Italia svolta a destra”.
L’editorialista spiega ai lettori che il Popolo della Libertà infatti è una coalizione, risultato della fusione di Forza Italia con Alleanza Nazionale, un partito di matrice neo-fascista: i movimenti pre-elettorali e il voto stesso raccontano un’altra storia. L’afflusso di Alleanza Nazionale all’interno del Popolo della Libertà non è avvenuto gratuitamente. Il partito guidato da Gianfranco Fini ha pagato questo movimento con lo scisma della destra “storica” che da queste elezioni esce fortemente ridimensionata sia sul piano della rappresentanza (non porta nessun deputato nel parlamento), sia sul piano ideologico. Il perimetro a destra della coalizione è stato ridisegnato tramite un percorso storico che risale ai tempi di Fiuggi, e non è cosa di questi giorni. Il giornalista inglese dimentica inoltre che il Pd nasce dalla simmetrica fusione di due forze politiche: la margherita, partito di centro ad ispirazione cattolica, e i Ds, la derivazione moderna del vecchio Pds che fu Pci.
L’articolo prosegue condannando la scissione al centro del Popolo della Libertà: l’aver scansato l’Udc al centro contribuirebbe ulteriormente a spostare il baricentro politico dell’alleanza verso destra. La realtà della prassi competitiva e della sua traduzione in programmi elettorali non dà ragione nemmeno a questa seconda ipotesi. Il centro della campagna elettorale di Pierferdinando Casini, leader del partito di centro, è stata la critica serrata ai programmi elettorali dei due grandi partiti, colpevoli di essere troppo uguali per suscitare una sana competizione. Dietro questa condanna si celava la paura, fondata, di essere schiacciato dalla forza centripeta dei due grandi partiti. La paura di Casini in un certo senso contribuisce a smentire la tesi dell’Economist.
Il pezzo dedica poi una breve analisi anche al risultato della Lega che raddoppia i suoi voti affermandosi come forza determinante negli equilibri della coalizione, soprattutto per la massiccia presenza nel nord del paese. Partito dalla matrice “fortemente anti-immigrazionista”, ha canalizzato su di sé tutti i voti dei “disillusi di Silvio Berlusconi” e sbilancerà verso posizioni conservatrici la futura maggioranza. La matematica è stavolta dalla parte del futuro premier italiano perché secondo le prime analisi i voti della lega che provengono dagli ex elettori di Forza Italia non sono che l’1% del totale totalizzato dalla Lega. Fa riflettere invece il massiccio movimento di voti verso la Lega di elettori che nelle scorse elezioni votarono uno dei partiti che oggi formano la sinistra arcobaleno. La realtà piuttosto mostra che la coalizione di centro-sinistra è stata incapace di sintonizzarsi sulle frequenze del nord, in particolare di quel tessuto artigiano-imprenditoriale, lontano dai banchi di Confindustria, che rappresenta l’ossatura economica del paese.
Berlusconi ha ora dalla sua parte due armi importanti: la matematica e la manifestazione della volontà di cambiamento che gli italiani hanno dimostrato consegnando il 73% dei loro voti ai due partiti maggiori, inaugurando la terza Repubblica. Speriamo siano sufficienti a far ricredere gli opinionisti britannici.