Chi ha in mano il petrolio globale è ostile all’Occidente
18 Luglio 2022
Il petrolio continuerà, per molti anni, ad avere una centralità economica e – purtroppo – anche geopolitica – nel mondo che stiamo vivendo. I combustibili fossili non saranno spazzati via dalla transizione energetica in poco tempo. E’ un dato di fatto ormai assodato dagli stessi paesi promotori dell’agenda green, Unione europea in testa.
La cattiva notizia è che, come sottolinea uno studio della società OffShore Energy, la richiesta di eventuali maggiori forniture dovrà fare i conti con uno scenario in cui il 65% delle riserve mondiali di petrolio e gas sono sotto il controllo di compagnie petrolifere nazionali che molto spesso operano in quelli che una volta avremmo definito “stati canaglia”.
Stati Uniti e Unione europea, in particolare dopo l’aggressione russa all’Ucraina che ha scatenato il conflitto ancora in corso, hanno sentito la pressione di dover aumentare le forniture, in un mercato confuso, paralizzato e con i prezzi alle stelle. Ma quali sono questi paesi dai quali l’Occidente dipende perché detentori di un enorme potere in termini di esportazioni petrolifere?
La mappa delle società di stato petrolifere include paesi come l’Arabia Saudita (Aramco), Qatar (Qatar Energy), Abu Dhabi (Adnoc), Iran (National Iranian Oil Company), Venezuela (PDVSA) e, per finire in bellezza, la Russia dei colossi Rosneft e Gazprom, che tanti grattacapi stanno causando agli ex partner energetici europei.
Queste sette società, secondo gli analisti di Wood Mac, possono continuare a produrre petrolio e gas ai tassi attuali per i prossimi 40-60 anni o anche più se sfruttano le capacità inutilizzata.
Il 41% delle nuove riserve di petrolio, inoltre, è stato realizzato proprio dalle compagnie petrolifere nazionali. In totale, le società di stato hanno scoperto complessivamente più di 100 miliardi di barili di petrolio equivalente dal 2011, afferma il rapporto, il doppio di quanto scoperto dalle major petrolifere.
La maggior parte del petrolio e del gas già scoperti nel mondo, dunque, è sotto il controllo di sette società, di cui quattro soggette a sanzioni da parte proprio dei Paesi più avanzati che consumano più petrolio e gas.
Sappiamo che i grandi consumatori di fossili, oggi in difficoltà di approvvigionamento che potrebbero ulteriormente peggiorare, stanno cercando di promuovere politiche a favore della transizione energetica. E’ anche vero però che l’obiettivo di muoversi verso un modello economico meno dipendente dai combustibili fossili richiederà per la sua realizzazione molti anni.
Non a caso, tanto Bruxelles quanto Washington sono passati in breve tempo da una strenua opposizione a un modello economico petrolcentrico a posizioni più caute. Dopo l’inizio del conflitto tra Russia e Ucraina, la sicurezza energetica è tornata ad essere un tema centrale, anche a scapito della lotta alle emissioni nocive.
“Petrolio e gas saranno necessari solo per qualche altro anno”, si sente ripetere dai leader occidentali. Ma basterà davvero soltanto costruire più parchi eolici e solari?
Il fatto che gli acquirenti europei stiano firmando contratti a lungo termine per il gas naturale liquefatto con gli Stati Uniti e, al contempo, si adoperino per cercare nuovi partner, farebbe pensare al contrario: petrolio e gas potrebbero benissimo continuare a essere necessari non per anni ma per decenni a venire.
Di conseguenza, l’Occidente deve ripensare l’approccio geopolitico verso i Paesi produttori e le loro compagnie petrolifere nazionali. Con politiche di sicurezza e una pressione diplomatica maggiore, con un atteggiamento meno accondiscendente. Per non ripetere gli errori che abbiamo commesso con Putin.