Chi si aspetta da Benedetto XVI una condanna del capitalismo sbaglia

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Chi si aspetta da Benedetto XVI una condanna del capitalismo sbaglia

19 Giugno 2009

La nuova enciclica sociale di Benedetto XVI, di cui si attende la pubblicazione per la fine di giugno, condannerà il capitalismo come tale, interpretando l’attuale crisi economica come una crisi di sistema? Molte indiscrezioni apparse sui giornali tenderebbero a dire di sì. Anzi, molti ritengono che i ritardi sulla pubblicazione siano dovuti proprio a questo, vale a dire alla diversa opinione tra gli esperti e collaboratori del papa sulla portata di questa crisi: alcuni vorrebbero venisse letta come una confutazione del capitalismo nei suoi stessi principi di fondo, altri non vorrebbero impegnare l’autorità del papa su una crisi che, forse, sta già passando e così apocalittica non è.

Nei giorni scorsi è uscito anche in Italia il libro dell’arcivescovo di Monaco Reinhard Marx “Il Capitale” (Mondadori) che porta come sottotitolo: “Una critica cristiana alle ragioni del mercato”. Utilizzando astutamente il proprio nome, l’arcivescovo apre il libro con una Lettera aperta a Karl Marx che, pur senza uscire dai paletti, fa ampie concessioni alla capacità previsionale di Marx circa il futuro del capitalismo e gli aspetti negativi della globalizzazione e sulla sua voglia di giustizia sociale. Per il resto il libro non dice granché di nuovo. Il vescovo Marx non esce da quanto affermato fino a qui dalla Dottrina sociale della Chiesa che ripropone con linguaggio tanto equilibrato quanto poco originale. Eppure il libro è stato spesso presentato come una critica al capitalismo.

Anche l’articolo del grande giurista Wolfgand Böchenforde apparso sul numero de “Il Regno”, la rivista dei padri Dehoniani ora in distribuzione, è stato molto enfatizzato. In esso si sostiene che la attuale crisi economica è la fine di un “sistema” e della sua “logica funzionale”. Secondo Böchenforde alla base del capitalismo c’è un “individualismo egoistico“ che mira ad una “illimitata dilatazione di sé, la cui razionalità funzionale integra e subordina tutto il resto”. L’autore sostiene che bisogna cambiare il punto di inizio e a farlo deve pensarci la dottrina sociale della Chiesa, che può mettere in discussione il sistema “in quanto tale”.

A leggere le indiscrezioni emerse da “fonti riservate” dei giornali, dentro la curia ci sarebbe stato un partito della condanna del capitalismo. Questo, però, comporterebbe una virata rispetto alla Centesimus annus di Giovanni Paolo II del 1991. In questa enciclica il papa affermava cose piuttosto diverse. Diceva che il capitalismo – che egli preferiva chiamare “economia d’impresa” – era positivo se significava libertà e responsabilità dei mezzi di produzione; che il profitto era un indicatore del buon funzionamento dell’impresa, anche se non unico; che l’imprenditorialità era umanamente positiva in quanto richiedeva molte virtù umane. 

Ora, proprio sabato scorso, parlando alla Fondazione Centesimus Annus Pro Pontifice, Benedetto XVI è tornato a parlare della sua prossima enciclica sociale. Ma lo ha fatto ricollegandosi in pieno con la Centesimus annus di Giovanni Paolo II, della quale ha richiamato i principi fondamentali riguardanti l’economia e quindi proponendoli come tuttora validi. Questi principi sostengono che l’economia di mercato è vero fattore di progresso solo se orientata al bene comune, che la libertà economica deve inquadrarsi in "in un solido contesto giuridico che la metta al servizio della libertà umana integrale" e che per poter fare questo il contesto giuridico ha bisogno di appellarsi ad un suo “centro etico e religioso. Rifacendosi alla Centesimus annus il papa stabilisce quindi tre cerchi: quello dell’attività economica (la libertà), inserito dentro quello della configurazione giuridica (le regole) a sua volta sostanziato da quello dell’etica e della religione (la responsabilità). Questo ci fa pensare che Benedetto XVI abbia voluto avvertire che la nuova enciclica non conterrà nessun giro di boa rispetto al suo predecessore e che non ci sarà nessuna condanna del “sistema”.

Ha anche detto che «la crisi finanziaria ed economica che ha colpito i Paesi industrializzati, quelli emergenti e quelli in via di sviluppo, mostra in modo evidente come siano da ripensare certi paradigmi economico-finanziari che sono stati dominanti negli ultimi anni» e che bisogna cercare «i valori e le regole a cui il mondo economico dovrebbe attenersi per porre in essere un nuovo modello di sviluppo più attento alle esigenze della solidarietà e più rispettoso della dignità umana». Questo avverrà senz’altro nella nuova enciclica, e proprio per poterlo permettere essa è stata lungamente procrastinata. Ma non credo che conterrà una qualche condanna del capitalismo in quanto tale non in linea con le riflessioni di Giovanni Paolo II.

D’altro canto, la parola “sistema” non ha mai trovato ospitalità nella Dottrina sociale della Chiesa, che parla sì di “strutture di peccato”, avendo però cura di precisare che non sovrastano mai completamente la responsabilità umana.