Chi vaccinare per primi? I dati parlano ma bisogna ascoltarli
14 Gennaio 2021
L’attesa messianica verso cui è stata condotta l’opinione pubblica nei confronti dell’agognato vaccino anti-Covid, rischia oggi di alimentare divisioni nel già lacerato tessuto sociale della Nazione. Come se non fossero bastate scelte che hanno fortemente penalizzato alcune importanti fette del Paese e coccolato altri, oggi un piano vaccinale senza criteri oggettivi, saldi ed uniformi in tutte le Regioni, rischia di essere benzina sul fuoco alimentando una guerra tra poveri che finirebbe per mettere tutti al tappeto. Una guerra senza vincitori, il cui esito non farebbe sperare nulla di buono: solo lutti, miseria e assenza di futuro.
L’idea che circola in base alla quale esisterebbero categorie professionali o sociali a rischio, e che dunque dovrebbero avere priorità nell’accesso al vaccino, sta innescando infatti in tanti ambienti la volontà di rivendicare per sé quella priorità. Non solo medici e infermieri, ma insegnanti, operatori della giustizia, estetisti, barbieri, cassiere dei supermercati: se l’idea è che sia il contatto con più persone a rappresentare il criterio di scelta, è evidente che le dosi a disposizione non bastino per accontentare subito tutti. Né ciò che si è fatto fino ad ora nella pratica concreta rivela grande chiarezza e logica, al netto dei meri proclami ministeriali.
Come scegliere dunque chi vaccinare per primi? Occorre guardare a due realtà fondamentali: la prima, che è quella rappresentata dallo stesso vaccino, che, in base a ciò che si conosce e che la stessa EMA ribadisce, non fornisce alcuna certezza in merito al raggiungimento dell’immunità sterilizzante. In termini semplici, ciò significa che, anche alla luce del comportamento di altri coronavirus, è molto più probabile che Sars-Cov-2 continui a circolare e a diffondersi a prescindere dalle vaccinazioni. Cioè non scompare. E, chi è vaccinato, non è detto che non possa a sua volta trasmettere il virus ad altri.
A che serve dunque questo vaccino? E’ presto detto: dagli studi effettuati, la vaccinazione preserverebbe dal rischio di sviluppare una forma grave di Covid-19. Che poi è il problema di questo virus, sebbene tale forma severa riguardi una piccola percentuale di infettati.
A questo punto, compreso a cosa serve e come funziona il vaccino, dobbiamo incrociare questo dato con quelli forniti da ISS, in modo da capire chi sono coloro che hanno sviluppato le forme acute di malattia, per le quali sono stati necessari i ricoveri in terapia intensiva, e per cui purtroppo spesso si sono registrati i decessi maggiori. Così facendo, infatti, capiremo finalmente chi è la categoria che dovrebbe ricevere subito tutte le dosi di vaccino disponibili, proprio al fine di evitare che sviluppino il Covid-19 in forma severa.
Orbene, i dati ufficiali ci dicono che gli over-70 rappresentano circa l’86% dei morti, e per esser più precisi, gli over-80 ne rappresentano circa il 61.4%. Al contrario, gli under-50 rappresentano circa l’1.1% dei morti. Inoltre, i decessi si sono avuti in persone affette da diverse patologie pregresse, in particolare in soggetti con problemi cardio-circolatori, affetti da diabete o malati di cancro.
Stando così le cose, se incrociamo i dati dei decessi con quelli dei ricoveri in terapia intensiva, e con quelli atti a descrivere le forme asintomatiche o pauci-sintomatiche (che messe insieme arrivano ad oltre il 90% dei casi), risulta evidente che una campagna vaccinale in grado di produrre gli effetti migliori in termini di tutela di vite in primis, ma anche di ospedalizzazioni, dovrebbe riguardare in maniera prioritaria i più anziani, a partire da quelli affetti da patologie ed ospiti delle RSA, e soggetti le cui condizioni cliniche possono rappresentare un rischio, stando alla statistica epidemiologica, di manifestare Covid con effetti avversi molto forti. Non solo: finché rimarrà l’assenza di immunità sterilizzante o la prova scientifica della stessa, non ha senso investire su categorie professionali certamente sì, esposte a maggior possibilità di contagio, ma non certo a manifestare forme gravi di malattia in maniera differente rispetto ad altri.
Vaccinando in poco tempo 4 milioni e 400 mila anziani, non soltanto scenderebbero drasticamente decessi e ricoveri, ma si darebbe la possibilità al Paese di ripartire da ogni punto di vista, avendo al contempo garantito protezione per i più fragili, servizi sanitari disponibili ed usufruibili, e mettendo la parola fine a tutti i danni enormi prodotti con chiusure e restrizioni. Di cui pagheremo il conto per molti anni.
Al contrario, dedicare le dosi disponibili agli under-50, come molti sembrano prospettare, magari scegliendo questa o quella categoria, rischia non solo di lasciare i nonni esposti al rischio di ammalarsi e morire, ma alimenterebbe divisioni e contrasti, oltre che scontrarsi con la materiale incapacità di poter immunizzare quanto meno i 23 milioni di occupati al di sotto dei 50 anni, che, stando ai ritmi attuali, richiederebbe almeno due anni di tempo.
Volendo stare ai numeri, i complessi calcoli effettuati dal Dott. Maurizio Rainisio, esperto in statistica medica, ricerca clinica ed epidemiologica, consulente e dirigente tecnico nell’industria farmaceutica globale, ci pongono davanti a prospettive importanti: ad oggi, infatti, su 750.000 vaccini somministrati, si è scelto di vaccinare 210.000 giovani ventenni e trentenni. Persino studenti di primo anno dell’Università! Mentre ai più anziani sono state fornite appena 40.000 dosi. “Usando due terzi di quei 750mila vaccini per persone che hanno un rischio bassissimo (inferiore a 1/2’000) di avere una COVID-19 grave o letale come è stato fatto – afferma Rainisio – , si sono ridotti, su base annua, lutti e ospedalizzazioni di 132 unità. Se fossero stati utilizzati per vaccinare altrettanti 90enni, lutti e ospedalizzazioni si sarebbero ridotti di 12’600 unità con un più che sensibile alleggerimento delle strutture (a parte l’ovvio ma ormai da tutti considerato irrilevante aspetto etico)”.
Già, l’etica, che dovrebbe essere l’essenza della vera Politica, pare invece cedere il passo ad altri tipi di logiche.
Ma Rainisio sottolinea ancora che “non è giustificabile vaccinare con priorità il personale ospedaliero non a rischio perché l’idea che ci sia un’immunità sterilizzante, per ora è appunto un’idea; questo aspetto del vaccino non è ancora dimostrato secondo i criteri della Scienza. Molti ne sono convinti, ma essere convinti non è sufficiente. Inoltre secondo ISS (Bollettino di EpiCentro) il personale ospedaliero non ha avuto letalità superiore a quella del resto della popolazione, quindi non corre rischi superiori”.
A causa del bombardamento mediatico che ha dipinto Sars-Cov-2 come fosse Ebola, di un senso di smarrimento dovuto alla perdita di spiritualità tipica dell’Occidente moderno, di una Politica che ha smarrito se stessa trasformandosi in altro, della pesante crisi sociale innescata dai lockdown, è certamente comprensibile l’ansia di tante categorie, e le aspettative (anche di natura mistico-religiosa) che molti riversano nella bramata fiala. Ma una scelta consapevole e fondata sulle attuali conoscenze scientifiche, saggia, etica ed utile per limitare il più possibile i decessi, punterebbe proprio a mettere tutto quel che si ha a disposizione in primis di anziani e malati. Magari calibrando con una fetta di personale sanitario attivo e più avanti con gli anni. Un po’ come hanno scelto di fare in Germania.
Del resto, far crollare i decessi e i ricoveri dovrebbe essere l’obiettivo di chiunque, anche per evitare di alimentare qualche voce “complottista” che, in caso contrario, coglierebbe immediatamente la palla al balzo rimproverando i decisori di aver scelto volutamente di non imboccare la strada giusta in modo da prolungare a dismisura l’emergenza. E siamo convinti che nessuno voglia questo.
Da ultimo, non si deve dimenticare che al di là delle vaccinazioni, occorre continuare a battere sull’importanza della medicina di territorio e delle cure domiciliari, sui farmaci disponibili e su quelli da rendere tali. Oltre che ribadire, sul piano delle scelte, la differenza enorme che esiste tra tutela della salute come bene in sé, e sviluppi diversi, derivati e derivanti da una vaga rivendicazione di libertà dal contagio o di mera difesa dell’ordine pubblico sanitario.