Chiusa la via “centrista” Casini torna a casa
16 Aprile 2007
Sono trascorsi poco più di quindici giorni da quando l’Udc di
Casini, differenziandosi in Senato dagli altri partiti della Casa delle Libertà
nel voto sul rifinanziamento delle missioni, lanciava il progetto centrista: “l’altra
alternativa” che avrebbe dovuto scompaginare i poli, ricorrendo, se del caso,
anche ad arditi interventi di chirurgia plastica dell’attuale maggioranza. In
termini politici sembra, invece, che sia trascorsa una vita intera. Casini,
infatti, al congresso dell’Udc ha ribadito che il ruolo del suo partito è
naturalmente alternativo a quello della sinistra. Egli, in altri termini, non
soltanto ha rinunziato a fare come il centrista Bayrou che si dice disponibile
a governare con i socialisti. E’ sembrato non voglia seguire nemmeno il più datato
esempio del centrista Giscard d’Estaing: incarnare stabilmente l’anima più
moderata della destra, puntando a prevalere politicamente nell’alleanza. Quel
che sembra essere rimasto dei sacri ardori è qualcosa di più semplice e meno
stravolgente: la legittima ambizione a succedere a Berlusconi come leader dello
schieramento, conferendo al bipolarismo italiano stile e sensibilità più
conformi al suo carattere.
Prima di stupirsi, c’è da chiedersi
da cosa sia dipesa questa metamorfosi. Certo, è pesata la considerazione degli
umori interni all’Udc assai più filo-berlusconiani di quanto si poteva
ritenere. Per misurarli si deve certamente fare riferimento al bagno di folla
tributato al Cavaliere in visita al congresso, e anche all’accoglienza positiva
suscitata dal discorso di Giovanardi: tra tutti gli “uddiccini” il più
esplicitamente berlusconiano perché il più “popolare”. Si farebbe bene, però, a
non ignorare del tutto gli accordi politici avvenuti dietro le quinte con
uomini quali Totò Cuffaro e Mario Baccini – quelli che hanno i voti e anche i
delegati, per intenderci – affinché non appoggiassero il segretario Cesa
attraverso proprie liste autonome. Insomma: affinché rinunziassero a contarsi.
Non tutto, però, si spiega attraverso
umori e convenienze interne al partito. A influenzare il ritorno alla casa
madre molto, e probabilmente di più, ha pesato l’evoluzione della situazione
politica esterna. In questi quindici giorni, infatti, l’asse del governo si è
ancor più spostato a sinistra. Ciò è accaduto, innanzi tutto, perché il
progetto del partito democratico, che dovrebbe unire una parte dei DS e la
Margherita, ha ricevuto una prima stima della propria forza: non andrebbe oltre
il 23% dell’elettorato. Siamo soltanto ai sondaggi, certo. Ma essi fanno
intendere quanto pesi la cosiddetta sinistra alternativa ingrandita dalle
truppe degli scissionisti DS che ormai si scorgono all’orizzonte. E che non si
tratti di peso soltanto numerico, l’hanno chiarito gli sviluppi delle vicende
afghane legate al sequestro Mastrogiacomo. In quel pasticciaccio brutto, quando
si è aperto un paradossale dissidio tra la logica (si fa per dire) di governo e
il movimentismo diplomatico di Gino Strada, si è toccato con mano come un’ampia
parte della base della sinistra si trovi dalla parte di quest’ultimo. E si è
capito anche che la sinistra radicale non intende affatto rinunziare alla rappresentanza
di questi militanti ed elettori.
In questa situazione, con buona pace
del tempismo folliniano, il muro tra la sinistra e il centro si è ispessito.
Oggi, infatti, la parte più moderata della maggioranza deve usare grande
precauzione per non provocare la caduta dell’esecutivo “a sinistra”. E della
forza necessaria a proporre la tanto agognata legge elettorale “alla tedesca”,
condizione indispensabile per la fuoruscita centrista dell’Udc dal
centro-destra, non se ne può nemmeno parlare. Anche se per miracolo si trovasse,
la forza elettorale della sinistra radicale risulterebbe non surrogabile da
quella di un’ipotetica formazione centrista: certamente non oggi, assai
probabilmente nemmeno domani.
Così, “l’altra alternativa” casiniana
si è trovata in una strada senza uscita. Di essa resta poco più della legittima
ambizione a modificare i contenuti e lo stile del centro-destra. Ma è questa
ambizione che si coltiva nei tempi lunghi, attraverso un paziente percorso di
crescita. Il presente, per ora è ancora un altro, ancora legato alla biografia
e all’esperienza politica di Silvio Berlusconi. Al congresso Rocco Buttiglione
ne ha dubitato, declinando al passato la leadership berlusconiana. Si è
sbagliato. In politica non vi è nulla di peggio che trovarsi in anticipo sui
tempi. Chi è in ritardo, infatti, con un colpo di reni può sempre recuperare.
Chi è troppo avanti, invece, è inevitabilmente destinato all’incomprensione.
Sarà questo un concetto assai poco filosofico, ma la correzione di rotta impressa
dal congresso Udc lo ha rafforzato.